DAL TESTO OFS per l’anno 2013 – 2014  =  Con san Francesco sui sentieri di Cristo.

 

Per conoscere il Dio vivo, dobbiamo entrare nelle piaghe di Xto, presenti negli uomini del nostro tempo, per conoscerle, bisogna uscire per la strada.

Questo uscire ci suggerisce di muoverci dalla sedentarietà, dalla tiepidezza o comodità, dal nostro muoverci senza camminare né spiritualmente e fisicamente.

Capita che spesso noi sentiamo senza ascoltare.

Guardiamo senza vedere.

Passiamo avanti e indietro senza incontrare e abbracciamo senza toccare. E’ l’indifferenza.

In questa maniera non ci accorgiamo delle piaghe che ci sono e non riusciamo a sperimentare l’umanità di Xto, presente nei fratelli.

Non possiamo rimanere aggrappati all’immagine di un Dio teorico, dove manca l’esperienza dell’incontro e senza fare la strada con Lui che è Via, Verità e Vita.

Solamente colui che cerca la vita vera e reale può incontrare il Dio vero e reale, si sente chiamato e si mette in cammino con Lui.

Per dare risposta alle nostre domande esistenziali è questo il cammino da fare, altrimenti rimarremmo fermi davanti ai nostri idoli, tra i quali mettiamo noi stessi, ed è unico riferimento di una vita vissuta in schiavitù, senza mai riconoscerla.

* E’ necessario tornare a casa e ripartire dalla casa!

Il nostro servizio può solo partire dall’ascolto della Parola e dall’accoglienza di Dio, che abita le nostre piaghe e ci permette di abbracciare le piaghe altrui.

Grande è la differenza tra Potere e Servizio, la risposta a queste la troviamo nel farci accoglienti e ospitali. Solo cos’ noi siamo ciò che accogliamo e diventiamo ciò che abita in noi.

Solo quando ci lasciamo abitare da Dio, noi vivremo la vera vita e scopriremo come l’autenticità della vita sta nel passaggio tra l’esistere per noi e l’esistere per un altro.

* E’ il nostro muoverci, in ogni nostra relazione, nello scambio delle esperienze e delle opinioni, quando accogliendo le nostre fragilità ci rendiamo disponibili a mostrarle ai fratelli per accogliere le loro fragilità. Così uscendo con Gesù, come s. Francesco, scegliamo di “ andare e veder “ fidandoci della promessa al termine dell’impegno realizzato in noi.

Così l’altro (il lebbroso) non sarà più l’oggetto del mio impegno, ma sarà una forza nuova per proseguire il cammino…  certamente con un cuore nuovo e aperto come quello di Dio.

* La nostra formazione è proposta capace di sollecitare un cammino, favorire una crescita, per innovare in Xto, ed esprimere il proprio carisma, quale dono dello Spirito che è depositato in noi, per aprirci a nuove relazioni fraterne, che siano vere.

* La vita insieme (anche se di poco tempo) è la sfida per la costruzione di una comunione che accetti e comprenda le nostre diversità, che ci aiuti a cooperare per il bene con impegno.

Dobbiamo saper stare e abitare tra la gente per amare, dialogare, comprendere e aiutare offrendo la testimonianza di un cuore veramente convertito al Vangelo, predicando offrendo la nostra vita e non parole. 

       1)  In cammino per abitare il mondo.

* Giovanni Paolo II diceva: Andiamo avanti con speranza. Il Figlio di Dio, che si è incarnato per amore dell’uomo, compie anche oggi la sua opera: dobbiamo avere occhi per vederlo e un cuore per diventare noi stessi strumenti. Il nostro passo deve farsi più spedito nel ripercorrere le strade del mondo. Le vie sono tante , ma tra coloro che sono stretti dall’unica comunione non v’è distanza, questa comunione si alimenta alla mensa del Pane e della Parola.

* CEI. Nel corso dell’esistenza realizziamo il dono della vita.

Il nostro camminare ci dice che il processo di crescita richiede pazienza.

Progredire verso la maturità impegna la persona in una formazione permanente, che richiede tempo, coraggio e una meta.

* Papa Francesco – Siamo in tempo di crisi, non culturale, non economica soltanto, ma crisi dell’uomo, quindi la crisi distrugge l’uomo. Ma l’uomo è immagine di Dio, pertanto non possiamo preoccuparci solo di noi, chiudendoci nello scoraggiamento e nell’impotenza di fronte ai problemi.

*  Siamo nel tempo dell’Austerity – nel tempo della crisi volute quasi dai governi. Siamo nel tempo dei suicidi che sono sempre in aumento. I problemi economici portano all’emarginazione e i problemi mentali sono in continuo aumento. Siamo sicuri che la crisi finirà?

Si parla di temporaneità della crisi, la sua eccezionalità la fa vedere come evento di durata limitata.

Anche i sacrifici si sopportano meglio se di poca durata.

Come si può vivere in una società insicura, dove prevale l’incertezza? È la domanda.

* Si sente dire che sulle nostre tavole scarseggiano frutta e verdura e aumentano negli spiteppi gli antidepressivi.

L’uomo deve tornare a se stesso se vuole crescere e raggiungere l’autenticità, deve saper rispondere alla domanda di Dio: “Dove sei?”.

Una domanda simile ad un soffio che non giunge durante la tempesta, ma può essere facilmente soffocata.

* E’ il richiamo di Dio a mettersi in strada per iniziare il cammino nuovo, e ricordiamoci che il partire è una liberazione, una possibilità immensa che ci permette di vedere, sentire, di incontrare, ma soprattutto vivere.

Per il momento ci accorgiamo che siamo toccati da un’umanità che si è impoverita nel suo  “sentire“, la voce si è addormentata sulle domande essenziali, quelle che tutti conoscono….

2)     I francescani secolari annunciano Xto con la vita e la parola.   

La testimonianza personale nell’ambiente in cui operate è il luogo del vostro apostolato come servizio all’edificazione del regno di Dio. (Cost. 17).

La parola crisi vuol dire: Separare, cernere (scegliere), discernere, giudicare e valutare.

In questo tempo ha assunto valore negativo, significando il peggioramento della situazione.

CRISI = pericolo o opportunità secondo il pensiero dei Cinesi.

Per noi, solo pericolo.  Ogni giorno sentiamo notizie negative che peggiorano la situazione.

La crisi ha assunto un aspetto di frattura, la risentono i giovani e ugualmente gli adulti, qualcosa del meccanismo umano relazionale ed economico si è spezzato.

Per i giovani si legge mancanza di futuro, non sanno leggere il domani, agli adulti manca la capacità di leggere il presente e si sentono impreparati a districare le problematiche dell’oggi.

Viene rubata la speranza ai giovani con la disperazione e non sanno più volare per sognare.

Vi è poi una crisi di stanchezza negli adulti per una vita fatta ormai di abitudini che portano alla noia. La stanchezza porta all’inutilità e all’impotenza.

* Perché si è in cammino? Dobbiamo domandarcelo, la fede come cammino.

Per incontrare Dio è necessario mettersi in moto, iniziare un cammino verso la meta. Quale?

La comunione con Dio è offerta a chi è disposto a mettersi in cammino, a portare attraverso un itinerario che si impara nella pratica umile e quotidiana del camminare.

La fede può crescere solamente quando ci siamo liberati da qualche forma di schiavitù; la fede ricordiamolo ha sempre bisogno di nutrirsi, di nuovo nutrimento:

“Ricordati di tutto il cammino che il Signore…per quarant’anni nel deserto… per metterti alla prova…per conoscere ciò che avevi nel cuore e se avresti osservato o no i suoi comandi…”

Ora sappiamo che chi sta fermo, chi vive nell’ozio incontra solo i suoi idoli, quelli che si è costruito da tempo con tanta cura e che lo tengono schiavo senza accorgersene.

I primi cristiani erano chiamati come: “quelli della via” perché avevano una via da seguire, Xto.

Gesù infatti di sé dice: “Io sono la via”. E’ dunque necessario partire e mettersi per via, scoprire la domanda che si nasconde nell’impulso a muoversi e a rispondere con decisione per iniziare il nostro cammino. 

                                              

 

 

  La gioia nella famiglia come lievito per tutta la società. Omelia nel giorno della Famiglia.

 

“ La vera armonia deriva dall’amore di Dio”.

 

Nella giornata della famiglia, celebrata in san Pietro, nell’anno della fede, il papa ha voluto tracciare tre punti di riflessione per un cammino di fede, di preghiera e di gioia che sono la base per l’armonia in una famiglia.

LA FAMIGLIA che PREGA. Il Vangelo ci presenta due persone al Tempio per la preghiera, due modi diversi, uno falso e la preghiera del povero. Il fariseo nel suo pregare manifesta la sua soddisfazione, si sente giusto, si sente a posto, si pavoneggia perché osserva tutte le prescrizioni e giudica gli altri dicendo male di loro.

La preghiera del povero, quella del pubblicano, è composta da poche parole, chiede perdono per la sua indegnità. Questa è la preghiera gradita da Dio, che arriva fino alle nubi (Sir. 35,20). Quella del fariseo è appesantita dalla vanità.

La preghiera è fondamento per la vita in famiglia, il papa chiede infatti ai presenti se c’è spazio in famiglia per la preghiera, come quella semplice del Padre nostro intorno alla tavola per ringraziare il Signore per i doni che ci sostentano. Domanda ancora se la moglie prega per il marito e viceversa, se i figli per i genitori e viceversa. Non possiamo trovare la scusa che manca il tempo, o come si può fare, è questione di umiltà, suggerisce il papa, tutti abbiamo bisogno di Dio. Bisogno del suo aiuto, della sua forza, della sua benedizione, della sua misericordia e del suo perdono. Per pregare ci vuole molta semplicità, ci suggerisce ancora Francesco. La preghiera fa forte la famiglia.

LA FAMIGLIA custodisce la FEDE. Il tema è preso dalla seconda lettura della Messa dove Paolo, al tramonto della sua vita dice di se “Ho conservato la fede” (2 Tim. 4,7).

La fede non si nasconde, è quasi una battaglia quotidiana, è una corsa, va annunciata, va portata lontana ad altri, ha lottato contro quelli che volevano soffocare il Vangelo.

L’ha conservata, perché come l’ha ricevuta, l’ha donata portandosi in luoghi più remoti della Palestina. Oggi tutte le famiglie sono “di corsa” specialmente quelle giovani, ma ci può stare anche una corsa della fede, ci suggerisce ancora il papa. Le famiglie cristiane devono essere famiglie missionarie, come quelle che hanno testimoniato in piazza san Pietro, il giorno precedente l’incontro con il papa.

LA FAMIGLIA VIVE la GIOIA – richiamandosi al salmo che recita:”i poveri ascoltino e si rallegrano” (33/34,3), ricorda che è un inno di lode al Signore, sorgente di gioia e di pace.  Perché rallegrarsi? Perché il Signore è vicino e ascolta ogni grido del povero. Anche san Paolo lo scrive (Fil.4,4-5) “siate sempre lieti…il Signore è vicino”.

Francesco rivolge una domanda, ma non vuole sentire la risposta, deve essere personale, intima: “come è la gioia nella tua casa?”.

La gioia viene da un’armonia profonda tra le persone, è ciò che si sente nel cuore, è sentire il bello dell’essere insieme nel cammino della vita.

Alla base di questi sentimenti di gioia, c’è la presenza di Dio, l’amore accogliente e rispettoso verso tutti. E’ la pazienza che dice tutto in una famiglia e la pazienza è virtù che possiede Dio.

Solo Dio sa creare l’armonia delle differenze, e se manca l’amore di Dio, la famiglia perde l’armonia. Qui subentrano gli individualismi e la gioia scompare.

Quando in famiglia regna e vive la gioia della fede, questa si comunica spontaneamente e diventa sale e luce del mondo, un vero lievito per tutta la società.

Francesco esorta a vivere sempre con fede e tanta semplicità come la famiglia di Nazareth.

Saluta augurando la gioia e la pace del Signore. 

 

 

   

 

 

Seconda lezione del testo: Con san Francesco sui sentieri di Cristo.

 

IN ASCOLTO DELLA PAROLA.

Noi sappiamo che Dio ha parlato per mezzo di uomini alla maniera degli uomini, così leggiamo nelle Scritture, e questo per facilitarci il suo pensiero, ma occorre sempre capire ciò che voluto dirci. Nei vari testi della Scrittura viene manifestata la verità, ma in modi diversi, la verità quindi non è unica, ha molte facce che si ricollegano e spiegano il tutto; cos’ nei libri storici, nei libri profetici e in altre espressioni che troviamo libere.

La Scrittura è stata scritta dietro suggerimento dello Spirito Santo, cioè l’uomo si è messo in ascolto con il cuore libero e ha percepito qualcosa di nuovo e ce lo ha tramandato, ora noi dobbiamo saper leggere con l’aiuto dello stesso Spirito, per capirne il vero senso dobbiamo con diligenza vagliarne il contenuto non isolandolo dal testo e da altri enunciati sparsi nelle Scritture, ma farne una lettura comprensiva di tutta la Scrittura.

-          La Parola di Dio che è al centro della missione della Xsa e nella nostra vita ci deve portare ad essere testimoni convinti e credibili del Risorto.

Per questo occorre accrescere in noi una maggiore familiarità con le Sacre Scritture, (quanto tempo diamo al giorno per leggerne una pagina?) perché queste saranno fondamento di una autentica vita cristiana, dove la Parola è annunciata, accolta, meditata, celebrata e vissuta nella Xsa.

-          San Francesco dice beato quel religioso che trova la sua vera gioia e letizia soprattutto nelle parole e opere del Signore, perché sono queste le uniche che possono condurre l’uomo all’amore di Dio.

-          Nel vangelo di Giovanni troviamo il Battista che indica ai suoi discepoli Gesù, quale: “Ecco l’agnello di Dio” (1,35-39), e i discepoli seguendo il Xto gli chiedono subito dove abiti.

 Noi conosciamo la risposta: Venite e vedrete. Quel giorno, dice l’evangelista, rimasero con lui, ed erano le quattro del pomeriggio.

* Giovanni di se diceva di essere solo la voce.

* Gesù è l’agnello che toglie il peccato del mondo. (Gv. 1,29).

Gesù inizia la sua missione e chiama Filippo, dicendogli: “ Seguimi ”. (Gv. 1,43).

Subito dopo in quei giorni ci fu una festa di matrimonio, Gesù era presente e compie il primo miracolo, da quel suo primo gesto i suoi cedettero in lui. (Gv. 2,11).

 

L’AZIONE dello SPIRITO.

Nei due discepoli nasce un vivo interesse per questo uomo indicato come l’agnello di Dio dal Battista, lo seguono. Qui sentiamo la domanda di Gesù che si sente seguito: “Che cercate?”. Non abbiamo la risposta di Gesù, ma segue un’altra domanda:”Dove abiti?” Cioè chi sei tu veramente?

Possiamo capire che è lo Spirito che suggerisce al Battista che Gesù è il Messia, infatti nessuno può dire: Gesù è il Signore, se non mosso dallo stesso Spirito. (1Cor. 12,3).

Lo Spirito si presenta a noi come il primo e unico maestro educatore che guida e accompagna, agisce liberamente dove lo si accoglie.

Noi abbiamo conosciuto Gesù Xto, ma lo Spirito ci accompagna ancora per una conoscenza più piena, per annunciarlo, parlare di Lui e testimoniarlo con la vita, ma noi non possiamo imporre ad altri la nostra fede. Il Battista riconosce Gesù, ma non sa spiegare la verità che è in Lui.

Riconosce la sua  dignità quando dice che non si sente degno di sciogliere il legaccio dei suoi sandali. Ma è lui che convince i suoi discepoli a seguire Xto, questa è opera dello Spirito, lui solo è indicatore per la ricerca della verità e del bene.

 

LE RAGIONI del CUORE.

Cos’è che ha spinto i due discepoli a seguire Gesù, è la domanda spontanea che nasce nel nostro cuore. Forse può essere stata l’espressione usata dal Battista: Ecco l’agnello di Dio?

Forse perché erano in cammino di ricerca di qualcosa o di qualcuno che a loro mancava?

Anche Gesù vuol sapere il motivo del perché lo seguono. “Venite e Vedrete”.

Certo questo può essere un invito ad iniziare un vero cammino di ricerca, per condividere una nuova esperienza, tanto che videro dove abitava e rimasero con lui. Possiamo dire che è l’esperienza del divino; “Se uno mi ama, osserverà la mia parola…” (Gv. 14,24).

Dall’esperienza del dimorare presso Gesù, che è con il Padre, nasce una catena di comunicazione, perché chi ha fatto esperienza diventa di conseguenza testimone, come lo è stato Gesù per il Padre.

Leggiamo nella Scrittura: “Abbiamo visto il Messia”, così dicono Andrea e Pietro, e non aggiungono altro, nessuna spiegazione, ma troviamo solo un grande entusiasmo, qualcosa di nuovo è entrato nel loro cuore e nella loro vita.

Lo sappiamo che le parole dicono poco, solo la gioia e l’entusiasmo riesce a conquistare gli animi.

Nel Vangelo è un ripetersi di questi inviti, di questi messaggi, e così nell’A.T. quando Dio hiama a se: “vieni e vedi”, è detto a Filipo e a Natanaele.

E’ sempre un incontro personale quello che si verifica nel Vangelo, sono i tempi dello Spirito.

Qui ci accorgiamo come diventa determinante l’incontro tra persona e persona.

Da quel giorno, da quell’ora che i due discepoli rimasero con Gesù, si è sviluppata una catena di testimoni che dura ancora oggi. L’incontro personale con Xto.

Ogni persona interpellata ha dato la sua risposta e ha trovato la sua dimora per la ricerca  per dare una soluzione alle proprie ansie. L’incontro con Cristo ci fa sentire figli nel Figlio, partecipi della natura divina. Quando si possiede la gioia trovata, non la si può tenere per nostro solo uso, si sente il bisogno di comunicarla ad altri per renderli partecipi della stessa gioia.

Anche la nostra esistenza è tutto un pellegrinare alla ricerca di qualcuno o qualcosa che meriti la nostra attenzione e sappia accogliere la nostra fiducia.

Nel nostro pellegrinare sono stati molti i rapporti iniziati con altri e subito conclusi perché non c’era vera comprensione, abbiamo avuto per un tempo idee condivise e poi dibattute e abbandonate, abbiamo costruito nuove amicizie e subito lasciate, e a volte finite male.

Queste relazioni fondano la nostra esistenza e ci dicono quanto sia faticosa questa ricerca.

Così molto spesso è il nostro comportamento con Dio, o ci fidiamo o sospettiamo: il contrario della fede infatti è il sospetto, quello che ha condotto Adamo a peccare, ad allontanarsi da Dio e farne a meno.

Stare con Gesù significa entrare in relazione con Lui, è entrare a far parte di una comunione, di una comunità, tanto è vero che i primi discepoli hanno coinvolto altri a seguire Xto.

Entrare in una comunità è un richiamo forte alla dimensione ecclesiale dell’atto di fede personale, dove ogni cosa viene condivisa fra noi.

La fede deve essere come una fiamma che accende il mio essere per accendere l’ardore nel cuore del nostro prossimo.

Il fuoco dell’amore di Dio è fuoco che trasforma è un fuoco di passione che distrugge il negativo che c’è in noi e che conduce a Dio rinnovandoci e facendoci diventare luce in Dio.  Pag. 26  

 

Domandiamoci:

Il mio seguire Cristo è stato spontaneo, personale o ho avuto qualche suggerimento…

Mi sono fermato con Cristo (attraverso il Vangelo) per capire chi sia veramente?

Perché ho scelto di fare parte di una comunione – comunità, per condividere o per solo per avere?

Mi sono convinto che non sono le parole, ma la testimonianza della mia vita a convincere altri a seguire il Cristo?

Cosa faccio ogni giorno per “Venite e vedrete” conoscere Cristo e seguirlo con più amore?

Quali pensieri formulo nel mio cuore nel vedere che ancora molti non conoscono Cristo?

L’entusiasmo di Andrea e Pietro (abbiamo visto il Messia) si rinnova nella mia vita,quando?. Quanto penso che duri il mio cammino di ricerca nel conoscere Cristo e con lui Francesco?

 

 

 

 

Terza lezione: Con Francesco sui sentieri di Cristo.

 

Riflessione Catechetica.

Noi tutti siamo inseriti in un contesto sociale, sia come uomini che come cristiani, per questo motivo ci è richiesto un continuo e costante cammino interiore che permetta di vivere la nostra identità di persone consacrate.

Dato che viviamo ancora in questo mondo, dobbiamo essere coscienti di possedere un percorso molto chiaro della nostra vita, che possa aiutare ad un cambiamento più positivo del nostro tempo. Siamo pertanto chiamati a vivere l’esperienza religiosa non come una realtà diversa o particolare, ma come un modo più vero per vivere la realtà della vita, perché nell’esperienza religiosa non troviamo situazioni che siano estranee alla vita stessa, ma in essa troviamo i fondamenti della stessa vita, quali: amore – odio; speranza – impegno; sofferenza – morte e altro ancora.

Queste esperienze del nostro vissuto quotidiano ci permettono di leggere il grande mistero di apertura verso Dio.

Siamo chiamati a svolgere una nuova evangelizzazione, cioè a rileggere noi il Vangelo per poi annunciarlo con maggiore consapevolezza attraverso il nostro vissuto quotidiano, e, questo, come se fosse la prima volta che scopriamo il Vangelo e a non chiuderci in noi stessi.

 

LA PAROLA di DIO.

La Parola di Dio, lo sappiamo, è rivolta a tutti gli uomini di lingua o razza o nazione diverse, e l’amore che vi troviamo deve spingerci con passione all’opera della missione dell’annuncio del Vangelo.

Questo, perché, deve essere chiaro, non siamo noi a salvare il mondo con le nostre parole o annuncio, ma la Parola stessa di Dio, san Paolo ci dice a riguardo che non è incatenata. (2Tim.3,16). Nel nostro ascoltare la Parola, ci rendiamo più maturi e responsabili nella fede, riscopriamo la natura missionaria propria di noi che siamo Chiesa e diventiamo veri testimoni.

In questa maniera, il nostro uscire diventa un farsi incontro con tutti gli uomini con uno sguardo di speranza e fiducia. (2Tim. 2,9).

Il Vangelo ci suggerisce di imparare dal seminatore in quell’ampio gesto di spargere il seme a piene mani e senza misura, lui è sicuro che da qualche parte attaccherà.

Leggiamo ancora come Paolo al giovane vescovo Timoteo suggerisca di annunciare la Parola, di insistere nell’annuncio in ogni occasione, di ammonire, riprendere ed esortare con amore e fermezza insieme. (2Tim. 4,2).

Ugualmente noi siamo chiamati a farci - parola – per il mondo e nel mondo, parola che porti la salvezza. E’ difficile per noi essere parola nel mondo, se non abbiamo dimestichezza con la Parola, perché ci sarà sempre più difficile trovare un terreno adatto ad accoglierla e a farla fruttificare, perché richiede l’adesione della fede, cioè devo credere pienamente.

Diventa così per noi una sfida che richiede la partecipazione di tutta la Fraternità, richiede grande pazienza nell’ascolto, creatività, fatica e possibilmente non sfuggire per non impegnarci.

Sappiamo ancora che sarà molto difficile proporci, ma ugualmente dobbiamo essere onvinti che sarà lo stesso Cristo a parlare al cuore dell’uomo di questo nostro mondo per abitarlo.

 

RIFLESSIONE FRANCESCANA.

Francesco si avvicina al mondo partendo da una profonda riflessione sul fatto della Incarnazione del Figlio di Dio e questa meditazione impegna e coinvolge tutta la sua vita.

L’amore che nutre per le creature deriva dall’amore a Cristo che ha unito tutto ciò che è in cielo e in terra. Per collaborare alla costruzione del Regno, i seguaci di Francesco divennero evangelizzatori, testimoni e profeti, abbandonandosi alla Provvidenza di Dio (atto di vera fede), e da Lui aiutati con originali ispirazioni e con quella forza coinvolgente e travolgente riportarono la Chiesa al mondo e il mondo alla Chiesa.

La novità dell’evangelizzazione era – stare fra e con gli ultimi – cioè con quelli senza alcun diritto, praticando lo spirito delle Beatitudini.

L’intenzione di Francesco conduce a vedere ciò che l’uomo deve fare nel mondo, per renderlo luogo di pace e più vivibile come suggerisce il Vangelo.

Per abitare la terra c’è bisogno di uomini non inclini al guadagno, schiavi della potenza e prigionieri dell’egoismo.

Conosciamo l’uomo, sappiamo che è e che resta imperfetto, e per costruire una nuova convivenza, Francesco proponeva il dono speciale del perdono.

Così diceva e voleva dai suoi frati che chiunque veniva da essi, sia come amico che come ladrone e nemico, doveva essere ricevuto con grande bontà.

Invitava poi i suoi frati he ovunque si trovavano dovevano rispettarsi e onorarsi scambievolmente senza mormorazioni e ancora, quando vanno per il mondo evitino di litigare, le dispute con parole, si guardino dal giudicare; ma siano pacifici, miti e modesti, parlando onestamente, come conviene.

Paolo VI diceva che questo linguaggio di Francesco è il fondamento di una “nuova civiltà e nuovo umanesimo dell’amore”.

 

FRATERNITA’ in SERVIZIO.

A Milano i francescani secolari gestiscono – Il Progetto Qiqajan – cioè accolgono ragazzi dai 12 ai 17 anni che presentano difficoltà nell’apprendimento per motivi linguistici che li conducono all’abbandono della scuola.

E ragazzi con difficoltà d’inserimento tra pari, per motivi traumatici, personalità introverse e con difficoltà di relazionarsi con altri.

Questo aiuto diventa per loro motivo di crescita, quando si trovano in disagio familiare, come le separazioni, lutti e famiglie allargate.

Il progetto richiede una continuità di servizio nella presa di carico per l’intero arco degli anni scolastici per rendere i giovani consapevoli delle proprie capacità.  

 

DOMANDIAMOCI

 

Ho dimestichezza con la Parola di Dio.

 

Sono sempre disposto ad offrire in ogni occasione il perdono.

 

So sempre accogliere con gioia chi bussa alla mia porta.

 

Sono disponibile in qualche servizio che la Fraternità – Parrocchia mi chiede.

 

Rendo visibile con la mia vita il Vangelo.

 

So leggere nel vissuto quotidiano il mistero del Verbo incarnato.

 

 

 

 

 

 

4° Lezione – Con Francesco sui sentieri di Cristo.

Abitare il cuore…per essere creature nuove. Pag.49.

 

Giovanni l’evangelista (1Gv.4,8), nella sua prima lettera ci ricorda che “il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, fattosi carne lui stesso e venuto ad abitare sulla terra degli uomini, ci rivela che Dio è carità e insieme ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell’amore” Conc. Vat. II – G et Spes.38 .

Papa Benedetto ci ricorda quanto già diceva l’apostolo Paolo (Rom. 10,10) – “Con il cuore si crede…, con la bocca si fa la professione di fede”

Il cuore aperto è il primo atto con cui ci si apre alla fede, ed è dono di Dio che con la sua grazia agisce e ci trasforma nel nostro intimo. Conoscere tutta la verità non è sufficiente se il nostro cuore non è aperto alla grazia che ci permette di avere occhi per scrutare in profondità e comprendere che ciò che abbiamo ricevuto è la Parola di Dio.

Papa Francesco ci invita a rivolgere giornalmente una preghiera allo Spirito Santo che apra il nostro cuore alla Parola di Dio, che il cuore sia aperto al bene e aperto ancora alle bellezze di Dio ogni giorno.

 

UNO SGUARDO sul MONDO…Percorso interiore.

Quando vogliamo cambiare noi stessi, decidiamo un viaggio alla ricerca di una nuova identità, per conoscersi meglio, più a fondo. Viaggiamo alla ricerca di noi stessi, e, giunti alla meta, troviamo che il nostro animo è cambiato.

Qui si prova un certo smarrimento per il fatto che troviamo una certa dissonanza tra individuo e società, tra famiglia e ambiente di lavoro, e tutto questo diciamo: non è più sostenibile.

Per cui decidiamo di uscire, di partire, ma senza sapere dove andare, forse per cercare qualcosa di noi che abbiamo perduto, un bene smarrito, e spesso non troviamo la cosa tanto desiderata, ciò che avevamo sognato.

Ma ne troviamo un altro, pur non sapendo cosa sia e che cosa comporti.

Quando si parte alla ricerca della nostra identità smarrita, nel nostro andare l’identità che si va cercando cambia, perché si fanno altri incontri e a fine viaggio ci troviamo con una inedita e inaspettata identità.

Mentre cerchiamo noi stessi alla fine troviamo in noi un altro che non ci somiglia, un sé sconosciuto, quasi un intruso. Basta un incontro, due chiacchiere, un caffè preso insieme, un amorazzo passeggero insignificante, e la vita è cambiata.

Questo viaggio decongela la nostra identità, la rende itinerante, mobile e problematica.

Questo viaggio cambia il nostro modo di pensare dell’esperienza personale intaccando i modi dell’esperienza consueta psichica e religiosa provocando un nuovo orientamento.

 

LA COSCIENZA dei PROPRI PENSIERI, azioni e motivazioni.

La Mindfulness è una tecnica che si fonda sulla coscienza del momento presente.

Ci si ferma sui pensieri, i sentimenti, le sensazioni che proviamo sul momento, si osservano ma non si giudicano. E’ una tecnica riconosciuta come utile per gli effetti positivi sulla salute mentale.

L’insieme della consapevolezza, attenzione e osservazione senza l’azione di un giudizio è un mezzo ideale per abbattere le barriere che ci sono tra noi e la conoscenza che abbiamo di noi stessi. Queste barriere, formate dall’idea che abbiamo di noi stessi, spesso non coincidono con la realtà.

Certi comportamenti dettati da una errata idea di noi stessi, sono il sottostimare o il sovrastimare le proprie capacità.

Come si può essere vittime di sentimenti negativi nei confronti di noi stessi, o al contrario, di sentimenti di egocentrismo.

Questo comportamento negativo o troppo positivo di se stessi, è dannoso e nasconde ciò che veramente noi siamo.

Così pure la mancanza di informazioni è un vero ostacolo alla conoscenza di se stessi, la mancanza di queste porta a non avere sufficienti informazioni per valutare con chiarezza se stessi. Per liberaci di ciò che ci impedisce di stare bene abbiamo tre tappe:

-* Prendere coscienza – non possiamo cambiare nessuna reazione di cui siamo coscienti.

- *L’accettazione – qui dobbiamo riconoscere, ammettere la situazione qual è, finché non ammettiamo di aver bisogno di aiuto, non passiamo all’azione per chiederlo. 

 -*L’azione – non è quello che sappiamo che può cambiare il nostro modo d’essere, ma ciò che facciamo con ciò che abbiamo scoperto.

 PRESA di coscienza: scrivi ciò che ti spaventa con “ non vorrei “ e poi cambia con “ ho paura “ di (ammalarmi, di perdere il ecc…), ogni sintomo è un messaggio.

 

LA RICERCA di se.

L’uomo da sempre ha desiderato conoscere se stesso, e questo desiderio o esigenza esistenziale si è accentuata già nelle grandi civiltà antiche, come la Grecia, dalla quale è nata la filosofia occidentale. Già Socrate diceva:”Conosci te stesso”, questo è anche per noi un grande tema che ha accompagnato la storia della filosofia fino a noi.

Il filosofo cerca di aiutare la gente a scoprire la verità che risiede in ogni persona, lo aiuta a far partorire i suoi pensieri. La filosofia è la madre di tante scienze e, queste, hanno contribuito a far si che l’uomo conosca meglio il funzionamento del proprio corpo e della mente. Ma l’uomo rimane sempre un grande mistero. C’è sempre un grande bisogno di interiorità, e questa fame rende la bocca buona.

Esistono nel mondo molte proposte e molte pratiche ascetiche che hanno come obiettivo il “centramento di se”, in realtà spingono l’uomo a chiudersi nel proprio guscio.

Dobbiamo imparare a percorrere la strada che conduce alla verità di se stessi e, alla conoscenza di se stessi, altrimenti si rimarrà sempre lontani da se stessi, in esilio dalla verità e quindi non approfitterà della vita, degli incontri.

In questo nostro camminare spunteranno errori, insuccessi, crisi e molte lezioni di vita, per continuare a conoscersi e lavorarsi sugli aspetti della propria personalità che sono più deboli.

 

APPROFONDIMENTO – La Regola e le Costituzioni.

“Testimoni dei beni futuri e impegnati nella vocazione abbracciata all’acquisto della purità di cuore, si rendano liberi all’amore di Dio e dei fratelli”.

“Amino e pratichino la purezza del cuore, fonte della vera fraternità”.

Capita spesso nel nostro comportamento di scoprire l’indifferenza, piuttosto che affrontare il nostro viaggio alla ricerca di noi stessi, e ci riempiamo di psicofarmaci per tranquillizzare le nostre ansie e angosce e depressioni.

La vera libertà è scoprire che l’uomo maturo è sempre ferito dalle proprie schiavitù.

Dobbiamo continuamente affrontare la morte dei nostri sogni di perfezione per non crederci già santi e perfetti. Chi non si conosce appieno, non sarà mai libero.

Il nostro cammino consiste in questo, fare esperienza del proprio limite che fa risaltare quella realtà di debolezza che spesso vogliamo ignorare.

La nostra esistenza non consiste nell’aumentare o ingrandire se stessi, il limite è una vera minaccia al conservare la stima di se, piuttosto che occasione di verifica e di rinnovo.

Dobbiamo saper riconoscere il limite come luogo della conoscenza di se, di chiarezza dell’essere umani. E’ quindi un’esperienza da fare.

E’ grande in noi il voler conoscere, farsi domande, il cercare il bisogno di interpretare e dare senso alle cose e alle relazioni  con altri e alla esperienza di fede.

La paura è la grande nemica della fede, che ci conduce a fuggire.

Abitare il cuore è incamminarsi per un percorso di liberazione dalle paure.

 

PAURA di Dio -  non vogliamo lasciare le nostre sicurezze, fare la volontà di Dio ci appare come restrizione e non liberazione.

 

PAURA di se – abbiamo troppa fama di noi stessi, abbiamo sentimenti di conflittualità, peccati – rimorsi che ritornano, sensi di colpa e incapacità di controllarci.

 

PAURA degli altri – come Adamo ci nascondiamo, ci sentiamo indifesi, sentiamo il nostro limite – perché se deboli gli altri possono giudicarci, rifiutarci.

Così il nostro cuore si blocca per la paura di non essere accettati, riconosciuti e sorgono in noi le paure di essere troppo coinvolti e di perdere.

Paura di essere troppo usati.

La paura si combatte con la fiducia, l’abbandonarsi.

Ogni crisi diventa ricchezza se ci arrendiamo per accoglierla e risolverla. Pag. 49  

 

Ora mi domando:

Sono coraggioso nell’affrontare questo cammino per conoscere me stesso, i doni e le paure che sempre mi accompagnano?

Quando tentenno nel chiudermi in me stesso per non affrontare il tormentato cammino di ricerca, chiedo aiuto?

Mi sento sempre tranquillo nel mio camminare la fede?

Le paure qui sopra segnalate, rimangono in me, o sono capace di affrontarle per allontanarle?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5 Lezione: Con Francesco sui sentieri di Cristo –

       in ascolto della Parola.

 

Nella Scrittura troviamo come le parole di Dio, sono espresse con linguaggio dell’uomo, così il Verbo di Dio, assumendo le debolezze della natura, si è fatto simile agli uomini. V.II.

La fede cristiana non è una religione del libro, ma religione della Parola di Dio, che non è parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente. – Benedetto XVI.

s. Francesco raccomanda che – i santissimi misteri, sopra ogni cosa, siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi. E ogni manoscritto con i nomi santissimi e le parole di Cristo, trovati in luoghi indecenti, voglio raccoglierli e siano raccolti e posti in luoghi decorosi.

Nel Vangelo di Luca (1,26-38) si parla dell’annuncio alla Vergine e del sesto mese di gravidanza di Elisabetta.

Papa Benedetto nel suo libro – L’infanzia di Gesù – annota che una interpretazione giusta richiede due passi. Cosa intendevano dire i rispettivi autori nel momento storico e, è vero ciò che è stato detto? Riguarda me? E in che modo mi riguarda? Nei quattro vangeli troviamo la figura del Battista , ma solo Luca collega l’annuncio della nasita di Gesù con la nascita di Giovanni mediante l’indicazione del “sesto mese di gravidanza”.

 

IL RUOLO di GIUSEPPE. Matteo narra la nascita del Messia, accennando la discendenza da Davide da parte di Giuseppe, per la promessa fatta a Davide. E di questo fatto troviamo un riferimento in (Is. 7,14) e (Mt. 1,22). Questo fatto è datato nell’anno 733 a C. quando il re di Damasco e quello di Israele si erano uniti contro il re assiro. Acaz, re di Giuda, stipulò un accordo con l’Assiria, fidandosi più dell’uomo che di Dio. Sarà il Signore a dare un segno ad Acaz, “La vergine partorirà…” (Is.7,14).

IL Sì di MARIA.   Luca ci dice brevemente che “Maria conservava tutte quelle cose nel suo cuore”. Solo lei poteva dire ciò che è avvenuto nell’annunciazione, perché non ci sono stati testimoni. Il saluto dell’annuncio fa riferimento alla profezia di Sofonia: “Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia…” (Lc.3,14-17). In tre momenti noi troviamo la risposta di Maria. La prima reazione è di turbamento e riflessione. La seconda è la domanda:”Come avverrà questo, non conosco uomo?” che vuol dire, nel linguaggio biblico, l’unione coniugale. La terza è la risposta essenziale di Maria, il suo semplice:sì. Si dichiara “la serva del Signore”. Servi erano quelli che dovevano compiere, per chiamata divina, un servizio nella storia della salvezza. Erano servi: Abramo, Davide, i Profeti e in ultimo il Messia. Maria conosce la sua vocazione e vi risponde prontamente. “Avvenga per me secondo la tua parola”.

La DIMORA di Dio.  La potenza di Dio ti coprirà, la nube sacra – la shekinà – è il segno visibile della presenza di Dio. Maria ora è la tenda viva dove Dio vi dimora in mezzo agli uomini. Dio Padre aveva promesso stabilità al trono di Davide, ora abbiamo l’erede, predetto da Natan il profeta (2Sam. 7,14), il cui regno non avrà più fine. Regno costruito non sul potere umano, ma sulla fede e sull’amore dello Spirito di Dio. Ogni volta che permettiamo all’angelo di entrare da noi, proveremo turbamento. Ma Dio entra nella mia vita quando vuole e come vuole. Il Signore è con noi. Non è un Dio lontano che attende sacrifici, lui si fa compagno di viaggio, solidale con chi è in difficoltà, con gli ultimi e si fa chiamare Padre. E’ questo il volto di Dio che Gesù rende presente.

Papa Benedetto annota che “nella vita di Gesù ci sono due punti nei quali interviene l’opera di Dio: la nascita dalla Vergine e la risurrezione dal sepolcro. E questo è uno scandalo per il mondo, perché a Dio viene concesso di operare nella sfera spirituale e non sulla materia. Il parto verginale di Maria e la risurrezione dal sepolcro sono pietre di paragone per la fede; se Dio non ha potere sulla materia, non è Dio. Ma Dio ha questo potere. E’ lui il Creatore.  

Riflessione catechetica. 

Chi risponde alla chiamata di Gesù resta dentro la comunione, riceve la promessa del regno e riceverà la vita eterna. Importante è realizzare questo progetto di comunione e rendere più sicura la propria elezione con un atteggiamento attivo, dinamico che comporta nel verificare nei fatti, comportamenti, nel quotidiano la propria appartenenza a cristo.

Tutti sappiamo che il cuore è il centro dell’amore e della volontà e punto di unificazione dell’uomo. E’ la sede delle emozioni, nel linguaggio biblico è la sede dei pensieri, degli affetti e il motore della volontà. Dio individua nel cuore dell’uomo il luogo privilegiato per il suo manifestarsi. Nel libro di Osea troviamo un dialogo d’amore fra Dio e il suo popolo.

Osea prende in sposa una prostituta che gli darà dei figli che chiamerà – non amata e – non mio popolo – in segno di distacco avvenuto tra Dio e il suo popolo: Dio ama un popolo infedele. Dio promette disastri ma poi muta il suo pensiero e mette in bocca allo sposo parole di tenerezza: Ecco, l’attirerò a me e la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. E’ Dio che ricostituisce un’intimità profonda, un rinnovamento nel fidanzamento e un nuovo parlare al cuore del suo popolo.

ECCO il CUORE.   Dio parla al cuore, al motore della volontà e alla sede dell’amore. Il suo è un dialogo di amore, di comunicazione di se stesso, un dialogo di comunione. Così svela all’uomo il suo Amore infinito. Per questo motivo la restaurazione dell’amicizia con Dio è simboleggiata da un fidanzamento, da un matrimonio, perché lui ama l’umanità e attende il suo ritorno. L’uomo che fissa il suo cuore in Lui è uomo che ascolta la voce di Dio nella sua vita, che vuole sperimentare la sua presenza, che vuole che abiti in lui. E’ l’uomo che, come Maria, accoglie dentro di sé il Signore, per conservare tutte le cose meditandole nel suo cuore. Quest’uomo è chiamato a diventare un contemplativo, perché l’incontro cuore a cuore con Dio ci trasforma, e non è emozione, ma è la scoperta che nella vita e storia c’è Dio, il suo mistero, la sua grandezza e tutto il suo grande amore. L’uomo che fissa il suo sguardo in Dio diventa capace di fissare lo sguardo su una realtà che attira l’attenzione e il desiderio di chi sa guardare.

Riflessione Francescana.  Francesco e Chiara hanno una personalità derivante dall’ambiente in cui sono nati e dall’educazione ricevuta nell’infanzia. Ma è difficile capire il loro cambiamento. Le loro scelte sono improvvise, decise e determinanti. Il loro stato d’animo spesso alterni e fa paura la radicalità della loro esperienza.

+ La chiamata del Signore. “E’ meglio servire il servo o il padrone? “ . Francesco era il re dei tripudianti, eletto così dai suoi coetanei. Qualcosa in lui si è incrinato. Un senso di grande vuoto assale il giovane, e quello che è e quello che fa non gli danno più gioia. Ora vi è una guerra da preparare, si prepara una quarta crociata nel 1204 con Gualtiero di Brienne che raccoglie e arruola molti giovani nel suo esercito in marcia verso la Puglia. Francesco si sente infervorato dal momento, ma il Signore lo prova e gli promette gloria, ma a Spoleto una febbre lo blocca e nel dormiveglia quella voce gli chiede dove sta andando. Ma la voce chiede: chi gli può essere utile, il sevo o il padrone? Francesco rimane sorpreso e chiede:”Cosa vuoi che io faccia, Signore?” Conclude la voce:”Ritorna nella tua città e là ti sarà detto cosa devi fare”

Questo bramo di fare con tutto il cuore. Così s’infrange il sogno di gloria di Francesco, che con l’aiuto della preghiera e della lettura della sacra bibbia, avverte di essere un uomo nuovo, abbandona le amicizie, i legami passati e il desiderio di nobiltà. La vita si presenta completamente diversa. Francesco capisce che deve muoversi verso il Signore, ora è approdato alla scelta della volontà di Dio e di Cristo come modello. Non conosce la meta, ma sa che quella è la strada. E’ un cammino di ricostruzione non privo di difficoltà quello intrapreso da Francesco, pieno di paure, ora capisce che “chi ama la sua vita la perderà”. Ora Francesco sperimenta la solitudine, e, leggendo il Vangelo, scopre il sapore delle cose, passando dal frastuono alla libertà interiore.  Pag. 57.

 

La mia risposta

 

 2 lezione - Domandiamoci:

Il mio seguire Cristo è stato spontaneo, personale o ho avuto qualche suggerimento…

Mi sono fermato con Cristo (attraverso il Vangelo) per capire chi sia veramente?

Perché ho scelto di fare parte di una comunione – comunità, per condividere o per solo per avere?

Mi sono convinto che non sono le parole, ma la testimonianza della mia vita a convincere altri a seguire il Cristo?

Cosa faccio ogni giorno per “Venite e vedrete” conoscere Cristo e seguirlo con più amore?

Quali pensieri formulo nel mio cuore nel vedere che ancora molti non conoscono Cristo?

L’entusiasmo di Andrea e Pietro (abbiamo visto il Messia) si rinnova nella mia vita,quando?. Quanto penso che duri il mio cammino di ricerca nel conoscere Cristo e con lui Francesco?

     

 

3 lezione - DOMANDIAMOCI

Ho dimestichezza con la Parola di Dio.

Sono sempre disposto ad offrire in ogni occasione il perdono.

So sempre accogliere con gioia chi bussa alla mia porta.

Sono disponibile in qualche servizio che la Fraternità – Parrocchia mi chiede.

Rendo visibile con la mia vita il Vangelo.

So leggere nel vissuto quotidiano il mistero del Verbo incarnato.

 

 

 

4 lezione - Ora mi domando:

Sono coraggioso nell’affrontare questo cammino per conoscere me stesso, i doni e le paure che sempre mi accompagnano?

Quando tentenno nel chiudermi in me stesso per non affrontare il tormentato cammino di ricerca, chiedo aiuto?

Mi sento sempre tranquillo nel mio camminare la fede?

Le paure qui sopra segnalate, rimangono in me, o sono capace di affrontarle per allontanarle?

 

 

5 lezione – Domandiamoci.

La novità e la fede di Maria nell’accogliere la parola, cosa mi dicono a riguardo?

Il sì della vergine, come approvo questa fiducia di nuovo comportamento?

Maria è la nuova dimora di Dio, io mi sento tempio in cui Dio possa alloggiare?

Ho risposto alla chiamata di Gesù entrando nei Francescani Secolari, mi sento profondamente in comunione con Gesù?

Dio parla al cuore, so ascoltare e conservare in esso ogni sua parola?

Francesco alla chiamata di Gesù ha lasciato ogni cosa e in povertà ha seguito il Maestro, io a che punto mi trovo?

 

 

 

 

 

 

 

 

6 Lezione: Con Francesco sui sentieri di Cristo.

                   “abitare il presente…con le sue fragilità”.

 

Ci troviamo in un’epoca dove in particolare si coltiva l’efficienza fisica e di grande libertà svincolate da ogni limite, le fragilità umane spesso vengono nascoste, ma non superate.

La Chiesa ha per queste situazioni una parola di senso e di speranza per ogni persona che vive la debolezza, la precarietà e la povertà relazionale.

Come possiamo vincere la fragilità della fede? E’ la domanda di papa Francesco.

Il nemico di questa è la paura, noi siamo fragili, ma Lui è più forte, e con il Signore siamo sicuri. Se pensiamo di fare da soli, siamo ancora più fragili, dobbiamo agire sempre con il Signore.

Quando ci troviamo davanti ad un bagaglio classificato “fragile”  molte sono le reazioni e le curiosità, c’è chi diffida, chi non resiste alla curiosità e chi per sicurezza allontana il pacco.

Dentro quel pacco ci potrebbe essere qualcosa di bello e prezioso, o qualche minaccia. Col tempo ci siamo abituati a rinnegare la fragilità, l’uomo è entrato nel delirio di onnipotenza pensando l’universo in continua espansione e quindi illimitato. Ci siamo sentiti dire più volte “se non riesci non vali nulla”. Ma aprendo gli occhi abbiamo scoperto di noi quello che per molto tempo ci siamo nascosti…limiti, finitezza, incompletezza, infelicità.

L’individualismo si è rivelato una menzogna. La crisi ci ha rimandato alla nostra immagine sciupata e scontenta. Solamente riconoscendoci incompleti, accettando la nostra debolezza, potremmo condividere con gli altri i nostri limiti per trovare un aiuto.

L’incontro con gli altri e il mettere in comune le proprie fragilità può essere occasione per uscire dalle nostre crisi. Anche personalmente il fatto di conoscersi ed accettarsi nei limiti, come nelle nostre forze, diventa un aiuto sicuro per intraprendere un cammino di ricerca della realizzazione personale e della nostra felicità. Questo è più che un cambiamento sociale, è antropologico, è in gioco una nuova visione di uomo.

I figli, cittadini fragili del domani-

Le indagini di questi ultimi tempi, ci raccontano ragazzi sempre più soli, nonostante le tante amicizie, e alla ricerca di qualcuno di cui fidarsi. Questi, certamente, non nascono fragili, ma sono resi fragili dalla società che presenta sfide e pericoli di cui gli adulti stessi si sentono impreparati. La fragilità, che deriva dal latino – frangere – spezzare, indica tutto ciò che può andare in rovina. Ogni uomo scopre la sua fragilità, nell’atto del nascere, del rescere, invecchiare e morire, attraverso l’agire e il patire, del dolore e del piacere, e di come vive il proprio essere nella salute e nella malattia. La sua fragilità gli deriva anche attraverso l’intreccio delle relazioni sociali, all’azione libera del suo simile, e questo spesso può agire contro di lui, lo può ferire, trattare con violenza e condurlo anche alla morte.

La fragilità non perde mai del tutto i suoi tratti dolorosi e rischiosi e nello stesso tempo cerca e invoca cura, pazienza e speranza.

La cura 

Va intesa non solo come ricerca di cure, ma come disposizione a fare alleanza come relazione con se e con l’altro.

La pazienza

Virtù implicante la capacità di lasciarsi formare da ciò che patisce, intrecciata con l’ascolto, la partecipazione e il coraggio di affrontare gli eventi imprevisti come un’occasione da vivere e tempo da accogliere in modo dignitoso.

La speranza

Virtù in grado di alimentare e sostenere la “difficile fede” che la promessa della vita non è stata vana.

 

 

 

APPROFONDIMENTO.

I francescani secolari sono chiamati a conformarsi al modo di pensare e di agire a quello di Cristo con un mutamento interiore detto conversione, la quale, deve essere attuata ogni giorno per la fragilità umana.

Accettare la fragilità

Non è una esortazione, è un atteggiamento che segna un passaggio interiore, è un affondare le radici nella parola di Dio. – Quando sono debole è allora che sono forte –

Toccare con mano la nostra debolezza, conoscere il nostro limite è un’esperienza che non ha soluzioni automatiche e definitive. Questa fragilità ci procura di volta in volta, disagio, dubbio, insicurezza, ribellione, confronto con gli altri e invidia…emozioni poco piacevoli.

A livello individuale 

L’esperienza della fragilità è passaggio obbligato per tutti, qui oltre la vulnerabilità fisica subentra la questione dell’identità del valore personale. Il nostro io ideale non sempre trova giusta collocazione, chi vuole vivere il lavoro come un servizio, o tendere alla comunione in fraternità, non sempre ci riesce. Questa insoddisfazione può generare instabilità emotiva.

A livello relazionale

La fragilità si presenta appena si evidenziano le differenze individuali, piccole o grandi.

Siamo diversi, con valori e bisogni diversi, così diverse sono le nostre reazioni, scatta in noi un’immediata autovalutazione e istintivo confronto di competizione con gli altri. E’ la sofferenza del cuore, di rapporti spezzati, di abbandono, di separazioni, di figli scapestrati o contesi, di amicizie troncate, di sentirci rifiutati, ignorati, disprezzati e in ultimo lasciati soli. La gioia del vivere è del come viviamo insieme e i dolori dal come non vogliamo risolverli bene.

A livello di fraternità

Avvertiamo la propria fragilità nel riconoscere la diversità dell’altro con tutti i suoi limiti e le sue qualità. Spesso subentra una sorta di competitività anziché di collaborazione.

Passaggio obbligato

Ora sentirsi fragili è esperienza legata alla realtà della natura umana. Non è sconvenienza e nemmeno vergogna. Non possiamo essere eroi senza macchia o senza paura.

Noi siamo creature, le fragilità fanno parte del nostro bagaglio, non possiamo fare finta che non ci siano, dobbiamo accettarci come creature con tutti i limiti e le ricchezze che ci caratterizzano. Questo è un passaggio obbligato nel nostro cammino di crescita. Quando non accettiamo la nostra fragilità è perché temiamo il giudizio dell’altro, ci sentiamo sempre sotto giudizio. Significa percepire la diversità del fratello come una minaccia, per cui ci mettiamo in atteggiamento difensivo. Spesso le nostre relazioni sono malate, chiuse in se stesse, intrappolate in dinamiche di separazioni.

L’amore più forte è quello capace di dimostrare le proprie fragilità.

Questo amore lo troviamo nel figlio minore della parabola, lui accetta i suoi limiti e colma la sua fragilità tornando a casa, trovando risposta ai suoi bisogni nella relazione con i suoi cari, o meglio con il padre, e con freddezza col fratello maggiore.

Ecco lo stile suggerito: metterci in cammino sul sentiero delle fragilità, la cura dei legami sociali, l’incontro con gli altri con spirito di totale accoglienza, mettere in comune le proprie fragilità, imparando a non lasciarsi paralizzare dal senso di vergogna, ma cercare di conoscersi ed accettarsi per quello che si è, senza indossare maschere per nasconderci.

DOMANDE:

So riconoscere le mie fragilità.

Cerco aiuto nel dialogare con gli altri o preferisco mantenermi nascosto.

So dissipare presto i malumori che si creano per motivi di stanchezza o incomprensioni.

O vero amore nel riconoscere la fragilità e son disposto a tornare sui miei passi.

So conformarmi a Cristo, nell’accettare la fragiltà della condizione umana?

7a Lezione: Con Francesco sui sentieri di Cristo. Abitare la strada per essere testimoni credibili. 

 

Il Concilio Ecumenico II, nel documento Lumen Gentium, ha trattato dei laici e della loro

secolarità, dicendo che vivono la loro esistenza implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e la loro esistenza ne è come intessuta. Il papa Giovanni Paolo II ci dice che non si incontra mai una religione, ma uomini o donne che appartengono a tradizioni religiose. Pertanto i cristiani, in questo camminare insieme, devono saper creare spazi di vita e di accoglienza, piuttosto che atteggiamenti difensivi. Il papa Francesco ci suggerisce che la fede è un incontro con Gesù, e noi dobbiamo fare la medesima cosa incontrando gli altri. Non possiamo vivere una cultura dello scontro o dello scarto. Ogni nostro incontro sia una cultura dove troviamo dei fratelli, dove possiamo parlare con tutti anche se non la pensano come noi.

La Crisi – la crisi è stata definita come perfida, tanto che ha prontamente stravolto la vita e le certezze delle famiglie, il popolo italiano si è affidato al modello delle tre R. – risparmio, rinuncia e rinvio. I consumi delle famiglie si sono ridotti. Ognuno provvede a preparasi tutto in casa e a coltivare ortaggi per l’autoconsumo.

Solitudini…i mille volti della crisi. Questo è il tema che ci viene proposto e che rispecchia la realtà, così prendiamo atto che stiamo assistendo ad una grave malattia del sistema sociale, la gente per pudore e per dignità si chiude nelle proprie case, senza avere la forza di reagire al proprio destino e si rivolge alla Caritas. Si finisce così nella solitudine come fuga dal sociale, visto come estraneo se non nemico, ciò è abbandono e rinuncia, quale solitudine psicologica e morale. Nelle nostre comunità riscontriamo troppa povertà, si causata dalla crisi economica e occupazionale, ma vi è povertà di affetti, di amicizie, di valori, di prospettive e di idee e di responsabilità. La povertà si consolida e si stratifica se non c’è giustizia e il rispetto della persona e dei diritti. I responsabili devono prendere coscienza e avere un diverso approccio a questa realtà che sta prendendo una vera e propria questione umanitaria, occorre mettere l’economia al servizio dell’uomo. Possiamo dire che la povertà è figlia dell’egoismo e dell’indifferenza.

 I Francescani secolari… annunciano Cristo con la vita e la parola. Il loro apostolato è la testimonianza personale nell’ambiente in cui vivono… nelle fraternità si preparino dei fratelli per la diffusione del messaggio evangelico.

Si ha povertà quando un individuo non può provvedersi un’abitazione, salute e vestiario, ossia quel paniere di beni e servizi essenziali che danno soddisfacimento dei bisogni minimi.  Passare a pag. 108.

Le Sacre Scritture, sono regola della propria fede, nella parola di Dio è insita efficacia e potenza, saldezza di fede, vigore della Chiesa, cibo dell’anima e sorgente di vita spirituale.

La Samaritana al Pozzo di Sicar. Il bisogno dell’acqua. La richiesta da parte di Gesù. L’osservazione della donna. Se tu conoscessi il dono di Dio.

Il pozzo e l’anfora vuota. Luogo di socializzazione per le donne nell’ora serale. Questa viene in un’ora solare, quali problematiche nasconde?

L’incontro casuale. Qui c’è uno sconosciuto, la donna non parla, lui chiede da bere, lei prende le distanze, la richiesta suona contro le regole sociali, la donna si meraviglia che Gesù le rivolga la parola.

Spirito e verità. il credente che adora Dio, non nel tempio, ma stando in contemplazione davanti al creato, nella propria coscienza, nella sua camera. Spirito è il comunicarsi di Dio, Verità è la Parola divina che lo stesso Cristo annuncia.  

 

 

 

GESU’ A PASSO D’UOMO. ANNO 2014 / 2015

(Gv. 14,5) “Signore non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?”
Essere con Gesù, ed essere sulla strada tra la gente è la necessità
dei francescani secolari. Questi sono i due punti che costituiscono
l’essenza della vocazione, sintesi della Regola, mezzi necessari per
esprimere il carisma che ci è affidato, per vivere come discepoli alla
maniera di Francesco, come il papa ci suggerisce.
L’adesione a Gesù, Via Verità e Vita, richiede una continua
conversione quotidiana, per non affrontare da vagabondi la strada che
è davanti a noi.
La collaborazione alla quale siamo chiamati è come un invito ad una
festa nuziale, - a porte aperte – dove non può mancare l’invitato
speciale.
Il viaggio parte da Cana, diventiamo viaggiatori, discepoli,
messaggeri della gioia – del vino nuovo – animatori della festa
nuziale che dobbiamo estendere al mondo intero.
Il nostro viaggio con Gesù, toccando luoghi e volti diversi, per
passare “dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo” come dice la
regola. E’ la Chiesa che deve avvicinarsi all’uomo, l’uomo fa fatica
ad avvicinarsi alla Chiesa, specie quando lo chiama con un linguaggio
difficile. Questo non è perdere la propria identità, ma significa
purificarsi per mantenere l’essenziale che è Cristo. I francescani
sono chiamati a liberarsi da ciò che appesantisce il cammino e
impedisce di procedere – a passo d’uomo – al fianco di questa umanità
di cui si è parte e che con fatica riusciamo a parlare di Cristo.
Zaccheo è l’uomo che ci insegna a togliere quel muro che ci impedisce
di vedere Gesù che passa. Anche noi dovremmo esprimere il desiderio di
fermarci a casa di coloro che attendono Gesù che passa, per esprimere
la gioia dell’incontro che cambia la vita.
Manca spesso in noi il coraggio di testimoniare la persona di Cristo,
di un Dio che non giudica ma ama, che non attende nella sua casa ma
cammina tra la gente e chiede ospitalità, e che attraverso il perdono
provoca il pentimento e non attraverso il pentimento concede il
perdono. San Francesco, l’uomo del cammino, lo aveva ben capito.
Ora Zaccheo attende noi e tutti color che cercano risposte ai propri
dubbi di una vita senza senso, senza speranza. L’umanità è in attesa
di incontrare i nostri occhi, di volti che parlano di un’esperienza di
un incontro esaltante.

CHI SONO I CRISTIANI?
Leggere la lettera a Diogneto a pagina 7.   

 

  I CINQUE CAPITOLI:

La famiglia è vita – la famiglia è tessuto quotidiano – la famiglia è
cammino di generazioni – la famiglia è solidarietà concreta – la
famiglia, speranza e futuro.

Capitolo primo. Uno sguardo sul mondo. La famiglia è vita. (Non hanno vino)

 

Giulia, sposata e laureata è senza lavoro, non pensa che la fede possa aiutarla, perde il suo tempo alla televisione, il marito non la comprende e pensa che non faccia nulla per cercarsi il lavoro.

Il nostro tempo è di rapide trasformazioni in tutti i settori. Questo ritmo frenetico, provoca l’individuo a camminare da solo. Questa società si presenta così come una società di uomini soli, incapaci di prendersi cura dell’altro perché troppo impegnativo e rischioso.

C’è una grande solitudine e una forte incapacità ci comunicare che spesso determinano scelte e modalità di vita. Mentre il cammino dell’umanità si basa sul principio della relazione, tanto che si perde di vista il senso dell’essere uomini.

Già fin dal principio Dio avvertì la solitudine di Adamo, sua creatura e il suo anelare ad una comunione, ad una reciprocità: “non è bene che l’uomo sia solo” (Gen. 2,18).

La storia umana è quindi storia di relazionalità, cioè di un io e un tu, che si cercano e sono appagati soltanto nell’incontro. Così Dio non è solitudine, è comunione in se stesso nelle Tre persone divine, altrimenti non avrebbe creato ogni cosa come realtà di comunione. L’uomo in questo caso ne è il segno, la parola e il corpo.

Oggi spesso il dialogo è ingabbiato nel nostro individualismo e nelle paure che ne derivano. Ma dialogare significa: “uscire da un’identità chiusa, liberare Dio dalla nostra prigionia e riconoscere l’altro come portatore di valori”.

Nella storia dell’umanità è sempre esistita l’alternanza tra comunione ed individualismo, oggi però il raggiungimento della felicità è orientata verso la direzione solipsistica.

Anche la famiglia e il matrimonio cristiano in questo tempo stanno attraversando un tempo risentendo di queste temperie culturali. Sempre più frequente sentiamo l’atteggiamento denigratorio verso queste istituzioni e anche il loro legame con Dio che appare troppo ingombrante davanti ad una umanità ormai indipendente e cresciuta.

Non possiamo accettare passivamente che continui a diffondersi questa versione culturale. Dobbiamo certamente leggere la crisi in atto, nella sua natura di opportunità, pensandola come uno stato fisiologico della trasformazione in una realtà che cambia. Certamente i valori umani e cristiani, rimangono fermi, possono cambiare solo lo modalità di vita della famiglia con altri nuovi valori. La famiglia non può più vivere solo negli spazi ristretti della sfera privata, così soffocheremo la natura che nasce, si sviluppa e matura da una solida relazione d’amore, attraverso lo stesso amore, per moltiplicare l’amore.

L’amore quale dono divino partecipato agli omini, ha infiniti modi d’esprimersi.

L’uomo e la donna che liberamente decidono di vivere in matrimonio per costituire la famiglia partecipano pienamente al progetto salifico di Dio.

Cristo con il suo sacrificio a ricostruito il piano della creazione sconvolto dal peccato umano, ha riconsacrato l’amore umano, così il sentimento d’amore per il fratello è divenuto

Il – segno autentico – di appartenenza a Dio. Così ogni uomo in Cristo si è riconosciuto figlio di Dio, capace di riversare questo amore verso ogni creatura.

Così i coniugi nella famiglia, sorta dall’amore, vivendo d’amore, sono in grado di donare ed educare all’amore. Ogni uomo che sceglie di vivere il proprio matrimonio alla luce di Cristo, che è garanzia di amore, tramite il Sacramento, rende la piccola comunità sempre più ricca, perché fortificata dalla stessa fede. Così la famiglia naturale e la famiglia spirituale, diventano espressione di un’unica realtà, che è espressione di quella più misteriosa ed infinita di Dio. Vivere la vocazione al matrimonio significa imparare ad amarsi senza riserve, senza inutili pretese, con grande rispetto e sforzo reciproco di comprensione.

Questo amore che può far emergere la bellezza della famiglia, come fonte di vita, grazie alla quale la speranza può ancora trovare il clima giusto tanto da poter ancora riempire le giare di vino nuovo e buono.

Capitolo secondo. (Oggi devo fermarmi a casa tua). La famiglia  tessuto quotidiano. Pag. 43

Sappiamo quanto sia difficile uscire dalla propria intimità famigliare per aprirsi ad accogliere le necessità del mondo, ma ci si affida al Signore, la famiglia è soprattutto – sacramento di fraternità – e testimonia al mondo il dono delle relazioni gratuite e della – fecondità allargata -. Questa fertilità risponde alla benedizione biblica: siate fecondi, non nel senso di moltiplicatevi, (riferito a generazione di nuove creature), ma come invito a – generare l’immagine dell’amore trinitario -.

 La famiglia – ospitale -.

Quando la famiglia è animata dallo spirito del Vangelo diventa una famiglia ospitale, una realtà d’amore che apre la porta della propria casa, ai bisogni del prossimo, come le adozioni o gli affido.

La famiglia che ama Dio, diventa misericordiosa e capace di offrire aiuto. Provare compassione?

Occorre adottare lo sguardo di Dio per saper leggere le necessità altrui, senza pregiudizi che impediscono di farsi carico dell’altro. Vuol anche dire saper accettare e affrontare fatica, sudore e altre difficoltà che ne possano derivare. Qui la famiglia non si limita a qualche sporadico gesto di solidarietà, ma nel rispetto delle esigenze di ogni componente, cambia tempi e modi di vita per offrirsi con continuità, in questo modo potrebbe farsi carico di molti poveri, senza ignorarli.

Zaccheo ci insegna il coraggio di salire sull’albero per tentare di vedere – conoscere Gesù, a molti altri invece manca questo coraggio, non tutti si sentono coraggiosi nell’affrontare lo sguardo indagatore della folla, per uscire da difficili situazioni. La società odierna ha smesso di guardarsi dentro, e anche di guardare l’altro, specie se è diverso, come un fratello in Dio.

Dio quando si rivela a Mosè, decide di togliersi il velo della Sua divinità per rispondere alla disperazione dei suoi figli – “Ho visto l’umiliazione del mio popolo, ho ascoltato il suo gemito, ho conosciuto i suoi dolori”. Tre verbi fondamentali per ben operare: vedere ascoltare conoscere.

E’ detta qui la compassione di Dio che vede, guarda l’uomo, la sua creatura. Così Dio ascolta, ciò che vede lo interpella, gli parla; guardando chi soffre, Dio conosce il suo lamento. Così continua: “Sono sceso… E’ questa la scelta amorevole di Dio verso colui che soffre per potergli dare sostegno e vicinanza. La compassione è un sentimento che impone una scelta, perché accostarsi all’altro porta il rischio di rimanerne coinvolti, come in amore, accogliendo l’altro, accetto di rischiare qualcosa di mio. Decisione fondamentale nel cammino dell’uomo, perché di fronte alla sofferenza altrui, siamo chiamati a combattere la sfiducia di non poter fare nulla di buono.

Ci si deve indignare davanti alla povertà altrui, la compassione ci chiede di combattere il male con chi soffre, anche se poi non riusciamo a vincerlo e dobbiamo trovare la forza di gridare la propria indignazione per l’indifferenza nei confronti di tanti poveri abbandonati.

Quali gli ostacoli? La fretta. La paura. L’alibi.

La Fretta - I nostri impegni sono così tanti che non abbiamo il tempo da pensare ai problemi degli altri.    La Paura - Ci sentiamo fragili nell’affrontare l’ignoto, siamo timorosi di perdere le nostre sicurezze. L’Alibi - Diciamo spesso che non tocca a noi farsi carico delle altrui difficoltà, ma allo Stato ecc. L’evangelista Luca presenta la Confessione pubblica di Zaccheo davanti a Gesù e a tutta quella folla presente alla cena. Per tutti i misfatti commessi si obbliga alla restituzione in misura anche abbondante, qui Gesù lo nobilita per la sua professione disprezzata.

Nel Vangelo di Matteo (18,15-18) si parla della correzione fraterna. Nei vari passaggi notiamo come se il peccatore non ascolta chi lo corregge, venga escluso dalla comunità come un pubblicano. Ma non un’esclusione definita, ma come un gesto di riguardo, Gesù infatti non usa la ideologia dello scarto, anche perché tra i Dodici c’è Matteo, un pubblicano, che compie lo stesso gesto di Zaccheo, è lui infatti che dà l’opportunità al Maestro di dichiarare: “il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.

Coloro che si lasciano salvare da Cristo, sono liberati dal peccato, dal vuoto interiore e dall’isolamento. Chi si chiude nei propri interessi non ha più spazio per altri. Con Cristo  rinasce continuamente alla gioia. Dio non si stanca mai di perdonare. E’ Lui che ci ha invitato a perdonare settanta volte sette, Lui perdona settanta volte sette, cioè sempre.

Zaccheo è un cieco che vede Gesù passare di là. Capo dei pubblicani e ricco, piccolo di statura. Gesù: Oggi devo fermarmi a casa tua.

Capitolo terzo. (Era molto avanzata in età). La famiglia è cammino di relazioni. Pag. 71

Una donna di cento anni ringrazia il Signore per il bene che ha potuto donare e per il bene che riceve nella sua famiglia, e consiglia ai giovani di avere attenzione per la vita e nella vita, di avere la mente aperta. La sua vita la passata lavorando e andando a servizio di casa in casa e di paese in paese, per far studiare le figlie. Ed è contenta di vivere con la famiglia spoata come in una famiglia allargata, è veramente un grande dono per un anziano sentirsi amato.

I sociologi dicono che la nostra società è “vecchia”, a differenza di altre zone del mondo. Si è allungata la vita, ma non c’è stato un aumento della natività.

Questa situazione è ora sotto osservazione, sebbene ci siano dei miglioramenti nella considerazione dell’anziano nella società, rimane tuttavia un pensiero superficiale su questa fase dell’esistenza umana. La mentalità odierna concepisce l’anzianità ome una categoria di secondaria importanza, perché non più produttiva per questo mondo che chiede sempre nuovi requisiti. In controtendenza a questo si diffonde un nuovo sentimento che conduce ad una nuova considerazione del valore del passato. Cambia lo sguardo, l’interesse si interroga, il cuore con cui lo si segue. La nostra società ha bisogno dell’anziano, questa è la nuova consapevolezza, senza di lui la vita perde in umanità e s’impoverisce perdendo la memoria del passato.

La Bibbia ci viene in aiuto: le storie dei patriarchi sanno essere molto eloquenti.

L’esperienza di Mosè al roveto ardente: Dio si presenta legando il suo nome a quello dei vecchi – “Io sono il Dio di tuo padre, di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”(Es. 3,6)

In queste persone risiede la garanzia della fede di Israele e garantiscono la legittimità della stessa tradizione. Al giovane viene donato – Dio – sempre e solamente dai padri, cioè dagli anziani del popolo. E’ l’anziano che trasmette quanto ha ricevuto e delinea il presente delle giovani generazioni il nostro mondo inneggia all’eterna giovinezza e nasconde il naturale scorrere dell’età e della ricchezza, la Bibbia ci consegna un messaggio he dovrebbe far molto riflettere.

Un vecchio melo non produce vecchie mele, ma sempre nuove e buone. Il sapere che lungo il cammino in montagna possiamo trovare sorgenti d’acqua per attingere nella nostra arsura, ci rassicura e ci offre nuova energia per proseguire il cammino. Così l’anziano per le nuove generazioni è una sorgente d’acqua a cui attingere in modo gratuito.

L’anziano può vantare una dote che si acquista soltanto col passare degli anni e che può regalare, può aiutare il giovane a guardare il mondo con un nuovo atteggiamento e a cogliere l’essenzialità della vita spesso abbruttita da una mentalità utilitaristica e superficiale.

E’ un buon narratore di storie, portavoce di un patrimonio umano ed forte di esperienze che conduce a capire i vari traguardi raggiunti nel tempo e non caduti dal cielo, come ad es. la valorizzazione delle donne e il benessere economico. Dobbiamo ricordare sempre che la famiglia è il luogo della – generatività – delle generazioni. Dobbiamo altresì tenere conto dei mutamenti avvenuti nel tempo, ed evitare di giudicare ciò che ci appare incomprensibile e lontano.

Spesso avviene che nella particolare relazione nonno e nipote si costruiscono determinati significati umano – affettivo che sono determinanti nel bambino, così accade che si ridimensionino la visione della vita e si colga la bellezza della solidarietà. DUE ESPERIENZE: Prendi in casa uno studente e Arrivano i nonni. Sono due esperienze che permettono agli anziani di non rimanere soli nella loro casa e la seconda permette ai bambini di trovare una persona anziana, diversa dal genitore e dall’insegnante per consegnare le proprie difficoltà. E’ un arricchimento per entrambi, in quanto gli anziani si confrontano con i giovani e le loro esigenze e capacità, e, i bambini imparano nuovi giuochi e sono aiutati a costruire attraverso attività manuali oggetti ora caduti in disuso.

L’anziano qui si presente come un datore di servizi educativi, dobbiamo correggere la rappresentazione negativa della vecchiaia. Dobbiamo invece aiutare gli anziani a cogliere il valore della loro età, apprezzandone le risorse dell’esperienza e sconfiggendo la tentazione del rifiuto e della inutilità. La migrazione dialogica ed affettiva tra le generazioni rappresenta la strada sicura per rendere più vera la presenza dell’uomo nella storia scritta giorno dopo giorno. Pag. 76

Leggere il Vangelo di Luca 2, 33- 38. Due anziani al Tempio, una fede trasmessa con coraggio.

 

CAPITOLO QUARTO. (Voi stessi date loro da mangiare). La famiglia è solidarietà concreta.  

Giusi ha 31 anni, è passata dall’araldinato all’OFS e ha maturato la scelta di vivere il senso del dovere verso i fratelli vicini e quelli più distanti. Nel periodo della formazione è stata invitata ad un servizio in una casa dove venivano accolte le mogli e le madri di carcerati. Qui ha trovato Salvatore, un bambino, si è subito accorta della sua situazione e a cercato di stargli più vicino possibile. Dopo anni lo ha trovato giovane in carcere, non lo ha abbandonato, ma lo ha abbracciato come quando lo aveva incontrato bambino.

Sappiamo che la parola famiglia significa: insieme dei servitori, nell’antica Roma era un nucleo di persone (unito da legami parentali) che portavano avanti la conduzione della – DOMUS -.  

 Col Cristianesimo essa si trasformerà in luogo di servizio, nativo e strutturale, come comunicazione di – solidarietà – dal latino - solidus – solido e compatto, su basi stabili.

Nella formula nuziale sono fortemente impressi i valori della stabilità (fedele sempre), della perseveranza (nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia) e della concretezza (tutti i giorni).  A questo punto il sacerdote chiede la benedizione di Dio perché gli sposi rimangano saldi nella fede e nella obbedienza alla legge del Vangelo, per dare buona testimonianza al mondo. La presenza di questi stabili valori, permetterà agli sposi di sentirsi missionari in famiglia e nel mondo. L’umanità per somigliare a Dio deve essere una coppia di due persone, maschio e femmina, che si muovono l’una verso l’altra. E’ il muoversi, un incedere reciproco ed armonico di una persona verso l’altra, grazie al quale consapevolmente si vive il proprio stato di grazia e di armonia con tutti.

Significa vivere responsabilmente il proprio tempo nella fedeltà, nella solidarietà per essere credibili collaboratori di Dio. Farsi solidali significa abbracciare il sacrificio, spogliarsi e rinunciare a qualcosa di nostro. Per es. il tempo o il denaro per metterlo a disposizione di altri nel bisogno.

Anche Gesù si è spogliato per assumere la piena solidarietà con l’uomo.

Tale atteggiamento ha pieno valore in seno alla famiglia. Questa solidarietà, impressa nell’uomo, ha valore solo con una fattiva solo con un si libero e cosciente. Solo in questo modo è permesso a Dio di entrare nel luogo della vita di coppia, e solo così si permetterà allo Spirito Santo di suscitare nella famiglia la forza di produrre solidarietà all’interno e fuori di essa.

La vita frenetica non permette oggi alla famiglia di praticare la solidarietà, essa si sente disorientata.

A volta la mancanza di dialogo costruttivo, dando spazio a un rassegnato stile di vita. 

Mantenere solo un rapporto di ruolo, dove decide uno solo e gli altri non sono considerati.

L’autoricarica, il lasciar correre, il fingere di non vedere problemi presenti in famiglia, scoppiare in scenate che rompono i rapporti e il non cercare chiarimenti.

L’egoismo, come pretesto di libertà, conservare abitudini particolari, - non faccio male a nessuno -, così si vive l’indifferenza nella vita di famiglia.

L’ottusità o chiusura, che è mancanza di spirito solidale, - è inutile darsi da fare -, intanto il mondo è fatto così e non cambia. Dove vige l’originalità nell’amore s’incontra pure la conflittualità. Questa situazione è provocata da un totale assenza di comunicazione, il non andare verso l’altro, per – riempire – con azioni valide lo spazio vuoto della vita dell’altro.

Quando tra i coniugi non c’è questo atteggiamento di gratuità, è difficile trovare in essa e fuori la forza della solidarietà. L’ascolto reciproco e la comunicazione sincera, l’attenzione ai messaggi d’aiuto dell’altro, la capacità di assumersi ognuno le proprie responsabilità, permettono di costruire una famiglia feconda, con gesti concreti nel privato che nel sociale.

Quando si dona il proprio tempo e parte delle proprie risorse, a chi è nel bisogno più che impoverire, arricchisce la famiglia di una dimensione ecclesiale di salvezza.

Leggere il Vangelo di Marco 6,41-42. I cinque pani e due pesci.

Qui si legge nella liturgia del rito, la liturgia quotidiana della vita familiare.

 

 

 

 

 

CAPITOLO QUINTO: La famiglia speranza e futuro. “Si avvicinò e camminava con loro”.

Una giovane del gruppo della Gifra (gioventù francescana) di 27 anni ha a cuore la cura delle persone che ha intorno. Questo amore lo ha scoperto nel suo camminare tra la gioventù francescana, essa è sicura che i giovani siano sempre pronti a mettersi in discussione per ben fare, la responsabilità è la loro occupazione, perché pensano al domani. Questa responsabilità, dice lei, è data dalla possibilità di qualche sbaglio, che molto spesso i genitori cercano d’impedire ai loro figli. Gli adulti, per i giovani, sono una sorgente dove attingere insegnamenti. Sono depositari di valori irrinunciabili che rendono l’uomo libero.

I discepoli di Emmaus. L’uomo è una creatura sempre in cammino, sempre in ricerca di risposte ai continui dubbi e incertezze della vita. questo atteggiamento lo si riscontra nella prima giovinezza.

Il giovane vive periodi esistenziali, dove domande si susseguono ed è in ricerca di nuove strade che favoriscano il processo di allontanamento dal parentado.

In questo periodo, la famiglia, ha un compito formativo importante. La famiglia è capace di farsi prossima e prendersi cura dell’altro, che indica i riferimenti necessari per percorrere la strada, dove il giovane può acquistare quelle competenze affettive che favoriscano la crescita umana.

Ogni nascita diventa appello a chi l’ha generato, per crescere libera e responsabile, perché nessuno chiede di venire al mondo. Oggi la famiglia educa ancora?

La CRISI della paternità. Ci si domanda cosa sia accaduto ai nostri giovani da un po’ di tempo, li vediamo spesso irresponsabili e indifferenti al sacrificio. Certamente c’è stato in una categoria di adulti l’incapacità di educare. Possiamo riconoscere errato l’accusa degli adulti verso i giovani per comprendere le cause del disorientamento e del disagio giovanile.

Quando ai giovani viene fatta una buona proposta, forte e decisa e vera, essi sono pronti a coinvolgersi. Perciò la domanda giusta è questa: cosa è accaduto a noi adulti?

Si riconosce una mancanza di proposte forti, e se le facciamo sono spesso per gli altri, mai per noi stessi, e spesse volte siamo noi i primi a non crederci. E’ importante ricordare che: si educa bene con quel che si dice, si educa meglio con quel che si fa, ed ancor meglio con quello che si è.

Per essere educatori è importante prima educare se stessi a credere nel proprio ruolo.

In ogni azione educativa troviamo, un adulto, un giovane e una serie di proposte che devono essere verificate dal giovane con l’esperienza. L’educazione nasce dal rapporto con le generazioni, specie in famiglia, dove i figli hanno bisogno di sperimentare quotidianamente quello che viene trasmesso.

L’autorità dell’adulto diventa vera quando si fa crescere la persona attraverso lo stile del proprio essere con valori umani e cristiani.

I figli osservano i genitori e vogliono scoprire se essi si appassionano alla vita, se è una cosa seria e ne vogliono capire il senso. Se manca in essi l’entusiasmo della vita, non potranno mai insegnarla ai figli. I figli ancora osservano lo sforzo quotidiano che i genitori impiegano per maturare come coppia ed educatori, anche la complicità della difficoltà educativa. I figli sono disposti a seguire i genitori, quando questi lo sanno essere e sanno indicare la strada. questa poi, non deve essere una imposizione, non si può derubare una persona della propria scelta di vita, anche se incapace ancora di difenderla.

I giovani hanno bisogni di buoni maestri di vita che sappiano insegnare il difficile ed anche entusiasmante mestiere del vivere.

Insegnare è mettere l’entusiasmo del vivere, solo così il giovane scoprirà la forza nell’aderire al vero cammino di vita il desiderio infinito del cuore per proteggere il futuro rinnovando la speranza, che è la motrice dell’impegno.

Leggendo i Discepoli di Emmaus, scopriamo l’entusiasmo del loro cammino nell’aver saputo riconoscere nel Maestro il maestro vero che si fa ascoltare e dice quello che ha saputo fare di persona. Loro lo riconoscono nello SPEZZARE il PANE. Ma a questo sono giunti dopo un attento ascolto.  

 

  

 

    Anno Sociale 2015 – 2016     -  PER  DONO.

 

Cap. 1 – Dal Cuore del Vangelo.

 

Matteo, nel suo vangelo, narra la vita e il ministero di Gesù, prima ai discepoli e poi a tutta la folla, parla del regno dei cieli, della personale conversione per entrarvi.

I cap. IV e V del Vangelo sono oggetto di profonda revisione di vita, se noi lo vogliamo. Tutti siamo chiamati, in tempi e modi diversi, prima o poi, a fare l’esperienza del deserto.

Questo deserto è tempo, dove, provati da ogni fatica, ci troviamo poveri e soli, e molte domande ci interpellano sulla nostra vita e in più ci sentiamo continuamente tentati.

La via indicata da Dio non sembra portarci alla felicità che cerchiamo, spesso ci diciamo, così noi approfittiamo di tante piccole scorciatoie del mondo e ancora: ci domandiamo ma cosa vale la mia vita? E Dio cosa c’entra con essa? Ci domandiamo ancora.

Qui ora dobbiamo pensare all’uomo vecchio che abita in noi e che vuole fare a meno di Dio, ritenendo che la felicità non si trova nel fare la volontà del Padre e il suo insegnamento, ma nel cercare di soddisfare i propri capricci.

Chi dunque può aiutarci in questo tempo di prova?

Certamente alzando gli occhi su Gesù, ancora oggi lo incontriamo sul lago della nostra vita, lasciamoci anche interrogare dalle sue parole e da quella che ci dice: “ seguimi “, e guardiamo a Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, anche noi riusciamo a capire che quello che conta nella vita è stare con Lui, così lasciando tutto lo hanno seguito.

Come abbiamo visto, è bastato uno sguardo, un incontro per cambiare e scoprire un nuovo valore di vita.

Chi abita con Gesù, si lascia stupire dall’ascolto delle Beatitudini, conoscerà la verità sull’uomo vecchio e capirà che solo nel viverle, troverà la vera felicità.

Solo così la nostra vita cambierà e così anche quella dei nostri vicini nella vita di ogni giorno, perché conquistati dalla nostra serenità.

Già oggi, possiamo iniziare la costruzione del regno, e chi già l’ha iniziato, può aggiornarlo continuamente in meglio, attraverso una conversione continua che diventa un ! si ! quotidiano.  Questo programma di rinnovamento non è affidato ai soli discepoli pescatori di Galilea o a quelli di Emmaus, ma a tutta la Chiesa, attraverso scelte coraggiose.

Nessuno si permetta di tradire la missione che ha ricevuto nel Battesimo, e cioè far conoscere il vero volto del Padre, il volto della misericordia che ci impegna ad essere tutti fratelli.

CHI E’ IL DIO di GESU’ CRISTO?  -  La Tentazione.

Possiamo dirci “Cristiani” non per un sentimento religioso acquisito in famiglia, ma solo dopo aver riconosciuto chi sia veramente Dio per noi e quale relazione comporta stare con Lui. La lettura delle tentazioni (Mt. 4,11) ci ripropone la domanda quale sia il rapporto che abbiamo con Dio: e cioè, sono disposto nella vita a rivivere la figliolanza del Cristo, ( quale l’obbedienza alla volontà del Padre, dedizione e servizio verso i fratelli, ecc ) scegliendo la via di Dio per la mia vita o sempre preferendo scorciatoie?

Penso che Dio sia fatto a mia immagine e somiglianza o viceversa, prendendo sul serio in me la vita del Cristo quale vero modello?.

Questa risposta è attesa non solo dal singolo, ma da ogni comunità.

Leggiamo che Gesù è condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato, e questo dopo un digiuno di 40 giorni e di 40 notti.

Quindi, quando stremato nelle forze e affamato, il tentatore si avvicina e: “se tu sei il Figlio di Dio di che queste pietre diventino pane”.ma, “non di solo pane, vivrà l’uomo” è la sua risposta, e ancora:” ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.

Certamente conosciamo le altre due tentazioni?

“ Gettati giù e se mi adorerai “ e anche le risposte: “ Non tenterai il Signore Dio tuo “ e “ il Signore Dio tuo adorerai e a lui solo renderai culto “.

Noi nel Padre nostro, recitiamo: “ e non ci indurre in tentazione “, la nuova traduzione suggerisce: “ e non abbandonarci alla  tentazione “ (Lc. 11,4 e Mt. 6,13).

Certamente Dio non è un tentatore, è colui che sostiene e accompagna l’uomo nella prova e lo rende capace di scegliere per operare il bene per se e per gli altri.

Siamo all’inizio della vita pubblica, Gesù è appena battezzato nel Giordano, e dalla voce dal cielo è proclamato il vero servo, è il Figlio di Dio, l’amato, nel quale il Padre ha posto il suo compiacimento.

Possiamo dire che Gesù ha incontrato la tentazione lungo tutta la sua esistenza, percorrendo la strada messianica indicata dalla Parola di Dio ( cioè quella della croce ) o lasciarsi soddisfare dalle sollecitazioni provenienti dalle attese messianiche del tempo.

 

Le tre attese al tempo di Gesù le troviamo a pag. 13 

 

LA RISPOSTA. La risposta per allontanare il tentatore Gesù l’ha trovata nelle Scritture.

Sono citazioni che sottolineano la fiducia nella Parola e la dedizione all’unico Signore.

Sono le due virtù che sconfiggono satana e sono i due atteggiamenti sui quali la missione della Chiesa deve confidare in ogni tempo. 

Il racconto di Matteo ha una dimensione ecclesiale e cristologica, perché serve non solo a chiarire le idee su Gesù e sul suo messianismo, ma anche per chiarire le idee sulla chiesa e sul suo compito, così nelle tentazione del Cristo, la chiesa trova le proprie tentazioni.

Le tentazioni di Gesù sonoper la vita della comunità, ma non impedisce ai singoli di ritrovare nella triplice prova di Gesù la dimensione morale, personale e quotidiana, interna a ciascuno: cioè quella di servirsi della potenza di Dio per avere o per potere o ancora per farsi valere. Atteggiamenti vissuti nel pensiero del mondo, ma non propri del Vangelo.

La potenza di Dio è data per amore e servire, non per avere, potere e dominare.

Le tentazioni sono un tentativo per sostituirsi a Dio e strumentalizzare Dio per se stessi.

Gesù, si, moltiplicherà il pane, ma non per se, sarà glorioso, ma solo attraverso l’obbedienza alla croce.

Compirà segni, ma in sudditanza al Padre, per rendere gloria a Lui.

Ricordati, una volta raggiunto il potere, usalo a gloria di Dio..

 

 

Chi sono i discepoli?  - la chiamata.

Nella vita capita spesso di sentirci chiamare per nome, e questo in luoghi diversi e inaspettati, e quando ci sentiamo incerti ci poniamo la domanda: ma vorranno proprio me? E qui ancora sentimenti e reazioni emotive ci sorprendono. La chiamata di Gesù, che troviamo in Mt. 4,18-22, è una chiamata a vivere come una “comunità di discepoli” vicini a Lui, per condividere la sua vita, la sua stessa dimensione di essere filgi dell’unico Padre. Un modo nuovo per capire i ritmi della propria esistenza, che non sono solo per te, ma annuncio missionario. Questo racconto della chiamata dei primi discepoli, rispetta fedelmente quelle dell’Antico Testamento e dei profeti. L’ambiente è il mare di Galilea e il protagonista del chiamare “vocazione” è Gesù, dove vediamo spiccare l’assoluta priorità della sua iniziativa. Lui è il soggetto principale: lui cammina, vede e chiama. Ognuna di queste azioni del racconto produce effetti. Al suo cammino, Gesù, associa altri che stavano fermi. Il suo vedere è intenzionale che prepara ad una risposta. Nel chiamare è come se al discepolo viene data la forza di rispondere. Gesù chiama per formare una comunità di discepoli che si mettono al suo seguito. Scelti per condividere la stessa sorte di Gesù: stanno con lui, ascoltano le sue parole e vedono i suoi gesti che sono inseparabili. Il seguire comporta anche la rinuncia agli affetti più cari per lasciare il primo posto a Dio, qui si manifesta la vera fiducia del discepolo: “lascia tutto per seguirlo “. Per Matteo la comunità si forma attorno a Gesù, è la comunità dei figli di Dio; infatti leggiamo spesso nel Vangelo “il Padre vostro celeste”, viene presentato come un Padre buono che ha cura dei suoi figli. Essendo figli, Gesù ci fa capire come siamo liberi di fronte a tutte le prescrizioni rituali ebraiche. Il Vangelo di Matteo è scritto infatti per le comunità giudaiche, vincolate a tutte le prescrizioni del mondo giudaico, perché nel sentirsi figli di Dio, con Gesù vengono liberati da ogni prescrizione rituale. L’unico riferimento rimane solo per il Padre (Mt. 6,1-18) per cui hanno significato nuovo il digiuno, la preghiera e l’elemosina; per cui la ricompensa al buon operare viene solo dal Padre che vede nel segreto. Ed essendo Dio vero operatore di misericordia, ne deriva per il discepolo l’imperativo evangelico del perdono. Già ricordiamo la domanda di Pietro sul perdono, quante volte devo perdonare al fratello? , conosciamo anche la risposta di Gesù: “non 7, ma settanta volte sette, cioè, sempre. C’è poi il comandamento dell’amore verso i nemici e la preghiera …” non dobbiamo essere come i pubblicani o i pagani (Mt. 5,44-48). Coloro che sono chiamati ora sono comunità di fratelli, cioè figli dello stesso Padre e devono rapportarsi come tali. Ecco il perché: nessuno si faccia chiamare padre o guida, perché lo sono solo il Padre del cielo e il Cristo. (Mt. 23,9-10). Questa è dunque la vera immagine di Chiesa, una comunità di fratelli. Questa è la ragione di fraternità all’interno della comunità che Matteo presenta, dove sono bandite la violenza fisica, verbale, l’aggressività , in essa sono inammissibili. Ogni volta che un fratello è turbato urge l’esigenza della riconciliazione, per mantenere viva la comunione verticale verso Dio e quella orizzontale verso i fratelli. Ecco dunque l’insegnamento:” se tu presenti all’altare la tua offerta e li ti ricordi che … “(Mt. 5,23-24).

LA  MISSIONE.  Quando Gesù chiama i primi discepoli, li incarica di una missione; “venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini! , da questo deriva che la chiesa è una comunità missionaria. L’uomo di per se guarda più volentieri ai testimoni che ai maestri, cioè più all’esperienza di vita che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle facili teorie. La testimonianza di vita è la prima forma della missione, e Cristo è il testimone per eccellenza, (Ap. 1,5;3,14), ne è il modello per eccellenza. La prima testimonianza è la nostra vita stessa di colui che vive la missionari età in famiglia e nella comunità ecclesiale. (Come?) – Il mondo è molto sensibile alla testimonianza evangelica, quando c’è attenzione per le persone e cura verso i poveri e i piccoli che soffrono. Questo atteggiamento gratuito che contrasta con l’egoismo, che è sempre presente nel cuore dell’uomo, provoca delle domande che portano a Dio e al Vangelo. Ugualmente l’impegno per la pace, la giustizia, i diritti dell’uomo e la promozione della dignità della persona. Sono una testimonianza del Vangelo. Solo assumendo posizione coraggiose e profetiche, la Chiesa, può dare testimonianza a Cristo di fronte a circostanze insicure nella quale si trova spesso a vivere. La missionari età si costruisce in modo particolare con l’umiltà verso se stessi, dove con un esame di coscienza è possibile correggere nei nostri comportamenti quello che non è evangelico e quindi sfigura il volto di Cristo.    

Quale vita cercare?  -  La conversione.

Se l’incontro con Dio non opera in te un cambiamento, a cosa serve? Se non incide profondamente nella tua vita, cosa pensi di trovare di nuovo? La conversione che ci presenta Matteo al 4 cap. è “ritrovare la propria identità” e scoprire profondamente “la radicalità evangelica” cioè un appartenere totalmente alla vita di Cristo. Questa appartenenza deve essere verificata ogni giorno per non deviare. Appena il Battista fu arrestato, Gesù si trasferisce nella Gallilea in attesa di ciò che il profeta Isaia aveva preannunciato; solo qui inizia la sua predicazione del Regno e guarendo gli ammalati. Questo suo operare si sparse per tutta la Siria e molti portavano i loro ammalati ed egli li guariva. Così molta gente da più parti incominciavano a seguirlo. Matteo non ci lascia il testo della predicazione, ma ci dice che invitata tutti a convertirsi, perché ormai il Regno dei cieli era vicino. Queste parole sono la base fondamentale della vita cristiana. E’ l’annuncio di un fatto, è l’offerta del dono di Dio che da una nuova possibilità di vita. All’imperativo convertitevi, segue certamente la risposta per il nuovo dono. Con Gesù si capisce in modo particolare il sorprendente amore di Dio. Sono invitato ad accettare questo nuovo evento e, devo fidarmi di ciò, in questo infatti si realizza la conversione. La conversione comporta: la radicalità, la religiosità e l’umanità. La radicalità consiste nel seguire gli ideale del Vangelo, questi possono essere utili per scelte di vita, e non per una vita comune di cristiani comuni. Alla radicalità evangelica si oppongono: la parzialità, l’esitazione, la compromissione e il temporaneo. Guardiamo al comportamento di Pietro dopo l’arresto di Gesù. Il  suo stare lontano dal cammino del maestro, indica una sequela non radicale. Radicale è anche la riscoperta della radice, centro generatore da cui tutto scaturisce e al quale tutto ritorna. Tanti nostri gesti possono essere eroici o totalitari, ma non radicali. Ce lo dice Paolo: “ 1 Cor 13,3 “. Se do tutte le mie cose e il mio corpo al fuoco, ma non ho la carità, non servirebbe a nulla”. Ogni nostro gesto può essere generoso, totalitario, ma se manca la carità, quel gesto non esprime la radicalità del Vangelo. Il segno qualitativo non sta nel donare o la generosità del lasciare, ma la radice  che lo qualifica e lo genera, sono la direzione e la qualità. Ogni discepolo di Gesù è invitato a lasciare tutto per appartenere al Signore. Ma attenzione, l’importante non è il “lasciare”, ma “l’appartenere”.ciò che realizza il radicalismo è l’appartenenza, qui troviamo la radice, la sua ragione, la sua misura e la direzione. Il radicalismo evangelico è sulla qualità dell’appartenenza al Signore. Mt. Al cap. 5, ci parla di giustizia superiore e di essere perfetti come il Padre che è nei cieli. Ma quale giustizia e perfezione?, le due espressioni dicono la perfezione a cui ogni forma di vita cristiana è chiamata. Ma è l’ideale che si verifica sul comportamento di Dio verso l’uomo, “perché siete figli del Padre celeste,che fa sorgere …. Piovere sui buoni e no, sui giusti e no” (Mt 5,45). Radice e misura del radicalismo evangelico è la croce, icona di un Dio che dona se stesso al mondo. Radicali infatti sono le opere di Dio che lasciano trasparire il suo volto. In ogni gesto e in ogni parola, Gesù,     ha lasciato trasparire l’amore del Padre per l’uomo. La quotidianità accompagna e rende vivo il radicalismo del Vangelo, dove l’uomo si trova a vivere, ed essere una proposta possibile nel mondo così com’è. La radice, la qualità e la misura della radicalità evangelica sono originate dall’appartenenza al Signore. Il distacco evangelico non è di per se separazione, ma è l’appartenenza a Cristo, come Cristo lo è di Dio. Paolo ci ricorda quale deve essere l’appartenenza di cui deve gloriarsi il cristiano, cioè  “voi siete di Cristo”. Libertà e appartenenza si sostengono reciprocamente, ma non è la libertà la ragione dell’appartenenza, ma viceversa. Infatti è la totalità dell’appartenenza che discende l’esigenza e la misura della libertà di fronte a tutte le cose. Lo spazio della libertà, ci dice ancora Paolo, è l’appartenenza a Cristo. La libertà non è distacco dalle cose, ma è un modo nuovo, diverso di guardare e usare le cose, da padroni e non da servi delle cose. L’appartenenza al Signore non svuota le cose del mondo, ma le riempie, da loro nuovo significato, e non perché si è distaccati da esse, ma nel farsi vicino ad esse. Per il Vangelo, radicale, è un’esistenza che diventa segno dell’amore di Dio per ogni uomo. La vita cristiana vuole essere memoria oggi dell’evento di Gesù, con una risposta coraggiosa e totale dell’uomo a Dio, ma rendersi conto di come Dio deve apparire in quella forma di radicale distacco, nel quotidiano, nelle relazioni, senza fuggire dalla quotidianità.  

  

 ESSERE TESTIMONI COME?  -  Vivere il presente.

Da sempre si sente ripetere che il mondo ha bisogno di testimoni e non di maestri. Il Maestro lo sappiamo è uno solo e il mondo, per credere a Lui ha bisogno di testimoni. Francesco e Chiara sono stati fedeli alla fede che hanno professato nella loro vita consacrata, fino all’ultimo giorno. Questo modo di essere è chiesto a ciascuno di noi, essere credibili di una vita vissuta nel Vangelo. Amare e usare misericordia sempre, anche quando la sofferenza ci assale. Il testimone è un martire, e il martire è un testimone per eccellenza, questo accade ancora oggi per i cristiani uccisi per il fatto che sono cristiani. Per essere  martire, vediamo la vita dei nostri fondatori. Francesco, ci dice un’antifona della liturgia, ha cercato il dono del martirio, dono da chiedere, da sperare, perché conferma di una fede veramente certa. Per questo si muove verso la Siria e il Marocco, attraverso la Spagna, terre popolate da infedeli, dove era possibile la prospettiva di morire per Cristo. Lui si muove, quando gli giunge notizia dei suoi primi 5 martiri, ed esclama “ ora posso dire di avere cinque frati “. Ugualmente grande era il desiderio di Chiara. Ma nessuno dei due è stato esaudito. Noi conosciamo il loro beato transito, alla Porziuncola e a san Damiano, attorniati da fratelli e sorelle. Il martirio di Francesco lo contempliamo nel 1224 sulla Verna, quando fu segnato con le sacre Tigmate, dono chiesto al Signore per condividere la sua sofferenza. E così per Chiara, una infermità fisica l’accompagnerà fino alla morte. Questo è stato disposto dal Signore con il dono di una sofferenza fisica, per entrambi, come segno di conformità a Gesù. Per loro la sofferenza è un modo per essere come Lui per collaborare alla salvezza del mondo. E’ questo un dono di grazia che chiede fedeltà, così possiamo essere testimoni anche noi secondo l’esempio ricevuto. Essere fedeli alla fede professata. E’ questa  la “forma evangelica” semplice, ma impegnativa che ogni discepolo è chiamato ad assumere. Questo lo si può sempre, ostinatamente, usando ogni misericordia verso tutti, in letizia e in ogni circostanza.  Amare e soffrire, questa era la richiesta di Francesco a Gesù. Chi ama sa di soffrire e così dare testimonianza concreta della propria fede. Importante per noi comportarsi in maniera degna del Vangelo.

ESSERE PROFETI … di cosa? – Preparare il futuro.

Si può essere profeti solo dando suono alla voce di Dio, avendo molta dimestichezza con il Vangelo, leggendolo con affetto e dedizione. Molte parole affollano la nostra mente impedendo lo spazio all’ascolto della Parola del Vangelo. Profeta è colui che parla al posto di,  facendone le veci, non appropriandosi della verità dell’annuncio; quindi parla, da voce, alle parole di e, al pensiero di Dio. Per svolgere questo servizio occorre molta familiarità con Dio, ascoltando la sua voce nel silenzio e in un sereno dialogo. E’ profeta l’uomo di silenzio e di ascolto, perché non deve dire nulla se non ciò che ha udito dall’alto. Francesco in questo ci è modello, conosciamo le sue quaresime in solitudine e in luoghi inaccessibili per non essere disturbato. Così Chiara, già chiusa in convento, e tesa ad una piena comunione con Dio, dopo la preghiera della sera, rimaneva in preghiera, dagli occhi abbondanti lacrime le sgorgavano, tanto dal muovere le sorelle al pianto, lei rimaneva in raccoglimento per poter percepire il soffio del sussurro di Dio. Per questo soffio, ci vuole un orecchio veramente allenato,  così infatti ci insegna il profeta Isaia (1 Re 19), con un’abitudine costante nella preghiera. Per questo è importante leggere la Sacra Scrittura, ascoltare nel silenzio la Parola che Dio ci ha consegnato e che la Chiesa custodisce con rigore e amore. Dio non si contraddice mai, non dirà mai nulla di diverso da ciò che già è stato rivelato. Colui che esercita l’ufficio di profeta, scarterà senza dubbio ciò che si allontana dalla verità, conosce infatti che la piena rivelazione si è avuta tramite Cristo, che dopo la sua Ascensione ha mandato lo Spirito Santo per aiutarci a comprendere sempre più e meglio ciò che Gesù ha detto. Per questo, Chiara provvede per se e per le sorelle predicatori capaci per l’alimento della Parola e Francesco, uomo senza cultura, aveva una comprensione altissima delle Scritture; penetrava le oscurità dei misteri, e quello che leggeva una sola volta era poi impresso nell’animo. La memoria teneva il posto dei libri, e ciò che l’orecchio udiva una sola volta, afferrava con sicurezza ciò che l’affetto già meditava con devozione. La Scrittura va letta con affetto, come un amante  legge lo scritto dell’amata. Ognuno di noi, in forza del Battesimo, siamo profeti e dobbiamo saper leggere la nostra storia con gli occhi di Dio per conoscere con chiarezza il progetto della storia della salvezza, iniziato già con il libro della Genesi. Attraverso l’intelligenza di fede con cui il profeta legge le vicende del presente, è capace di preparare il futuro, conosce così il cuore e il pensiero di Dio e il cuore dell’uomo e dato il momento presente sa prevedere quello futuro come gli viene suggerito dallo Spirito nel silenzio della preghiera confrontando sempre la Parola. Francesco e Chiara si trovano ad essere sentinelle poste in alto, capaci di scrutare l’orizzonte per aiutare l’uomo del loro tempo ad incontrarsi con Dio, dando una lettura attenta dei mali del tempo, perché la Chiesa in ascolto dello Spirito aprisse ai fratelli la strada della salvezza. Questo è l’oggi dei Francescani Secolari: leggere con uno sguardo di fede gli avvenimenti e sostenere il cammino di conversione della Chiesa, nella speranza certa di chi sa che la fede è la vittoria che vincerà sempre il mondo.

PER  DONO – Il mandato missionario dei Franc. Secolari.

L’incontro con il Signore, che ha certamente cambiato la nostra vita, non può essere un bene personale, ma per la sua freschezza deve aprirci agli altri. Come insegna la parabola del tesoro nascosto, per averlo, si vende tutto per acquistare il campo e poi trafficarlo, altrimenti perde valore e muore. La presenza del Signore nella nostra vita è un dono, il nostro cammino nella fraternità è un arricchimento di esperienza  che ci permette di guardare il passato con gratitudine, anche i momenti aridi, e ci permette di vivere il presente con passione ovunque noi ci troviamo e ad abbracciare il futuro con viva speranza perché ricchi della presenza di Dio. Siamo invitati a trovarci nel mondo per offrire la nostra vita “ per dono “. Così come è stata donata a noi; testimoniando l’amore di Dio e il suo perdono, che cambiando la nostra vita può cambiare quella dei fratelli. La Regola ci offre slanci di attualizzazione evangelica, non prescrizioni che sarebbero difficili da attuare, ma un confronto di revisione di vita fraterna e personale con la Parola del Vangelo. Il Regno dei cieli è quel tesoro prezioso nel campo, già svelato e presente in mezzo a noi che noi siamo chiamati a lavorare perché produca frutto. Siamo dunque invitati a lavorare quel campo per metterlo a disposizione di chi non riesce a vederlo e a toccarlo. La nostra missione è riconoscere il tesoro, farlo proprio per donarlo a tutti gli uomini per continuare la ostra storia di animazione missionaria. Tre sono i momenti che ci vengono suggeriti da papa Francesco. – la dimensione evangelica, dono ricevuto e fondamento di ogni vita. – la dimensione missionaria, centro promotore della quotidianità. – la dimensione francescana, nella condivisione della povertà abbiamo il senso della speranza evangelica.

GUARDARE il PASSATO con GRATITUDINE: facciamo della contemplazione l’anima … Nell’Evangelium Gaudium, papa Francesco fa riferimento al poverello d’Assisi, dove il Celano scrive che fu “in grande dubitazione”, se annunciare o solo pregare, per questo motivo chiede aiuto a Chiara e a frate Rufino. I dubbi di Francesco ci chiedono di ripensare un atteggiamento di umiltà per rivedere il nostro passato, meditando le origini del nostro mandato missionario. Di Francesco si legge che è “l’uomo fatto tutto preghiera”, è considerato uno dei più grandi evangelizzatori. Se esiste una precedenza, teniamo conto della preghiera e della contemplazione, sono l’anima del nostro essere e operare. L’anima è in ogni uomo. Il partecipare alla vita sacramentale della Chiesa, come suggerisce la Regola, non è un assolvere a dei precetti, ma è il cercare “la persona vivente di Cristo”. La contemplazione o” stare, vivere con” è il mezzo per riconoscere Cristo nella nostra storia e in quella dell’umanità. Con l’Incarnazione si è aperta per noi la possibilità della contemplazione, perché Dio ha scelto di stare con noi e come noi. Dono da ritenersi con grande gratitudine, a questo dono si risponde con il metterci in cammino di conversione per trovare la presenza del Signore. Primo luogo di conversione sono i Sacramenti, che sono segni e strumenti di Cristo. Ognuno in essi, trova il senso del suo cammino e la relazione privilegiata con Cristo. Attraverso i Sacramenti l’uomo scopre le proprie fragilità, fa l’esperienza della misericordia di Dio. Nella contemplazione si è chiamati a cercare la persona vivente di Cristo nei fratelli, nella Scrittura, nella Chiesa e nei riti liturgici. La contemplazione non si misura con le celebrazioni, ma attraverso esse vi è il nutrimento adatto per riconoscere la presenza del Cristo in ogni momento. Questo passaggio “dal Vangelo alla vita” e viceversa, avviene quando ci incamminiamo sulla strada fatta da Francesco, lui riconosceva la presenza di Dio in tutto ciò che di bene e bello vive accanto all’uomo e dentro di noi.  “Tu sei il Bene, ogni Bene, il sommo Bene, il Signore Dio vivo e vero”.     

            

 

   

 

 

 

 

 

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