Rileggendo la catechesi di papa Francesco.
“Gesù è il Dio con noi”.
Natale festa della fiducia e della speranza.
di fra Giovanni Balestra.

Questo incontro si svolge già in un clima natalizio, è questo il primo annuncio di Francesco, dopo il consueto “buon giorno” ai presenti per l’udienza generale del mercoledì.
Siamo infatti entrati nella novena del Natale, questi ultimi giorni dell’avvento che ci conducono al Natale. E’ tempo dunque di riflettere sul natale di Gesù, festa della fiducia e della speranza, che ci aiuta a superare ogni pessimismo. Qual è la nostra speranza se non dire che Dio è con noi? E che Lui si fida ancora di noi! E’ dunque un Padre generoso. Egli sceglie la terra e viene ad abitare con gli uomini, per rimanere con noi e perché possiamo incontrarlo in tutti i luoghi dove l’uomo fa esperienza di gioie e di dolori. La terra, con questa presenza, non è più – valle di lacrime -, ma è luogo dove Dio ha piantato la sua tenda, è cioè il luogo dell’incontro di solidarietà di Dio con noi uomini.

DIO si fa UOMO.
Questa è la maniera in cui Dio ha voluto condividere la nostra natura umana facendosi una cosa sola con noi nella persona del Figlio, Gesù, che riconosciamo vero uomo e Dio.
Questa presenza di Dio nella nostra umanità è stata contrassegnata non in maniera idilliaco, ma in un mondo segnato da guerre, segnato da cose buone e cattive, da divisioni e malvagità.
Ha scelto di abitare la nostra vita, così come è, con tutti i pesi e
drammi che la coinvolgono.
In questa maniera ha dimostrato all’uomo tutta la sua misericordia e il suo amore verso ogni creatura. Francesco invita i presenti a
ripetere: Gesù è Dio con noi, e i presenti rispondono all’unisono
questa grande professione di fede – Gesù è Dio con noi.
La sua presenza è da sempre, nei momenti di sofferenza e nei dolori della vita.
Così il Natale ci fa capire che Dio si è schierato per sempre dalla
parte dell’uomo per salvarci, per risollevarci dalle nostre miserie e
dai nostri peccati.

Il BAMBINO di BETLEMME.
E’ questo il grande regalo del Bambino di Betlemme, Lui ci porta
un’energia spirituale che ci aiuta a non sprofondare nelle nostre
debolezze, nella disperazione, nella tristezza, perché è un’energia
che riscalda e rinnova il cuore trasformandolo.
La nascita di questo Bambino ci dice che noi siamo amati immensamente e anche singolarmente da Dio, e questo amore ce lo dona oltre che farcelo conoscere, ce lo comunica.
Il mistero del Natale ci suggerisce che Dio si rivela non come Colui che sta in alto e che domina ogni cosa, ma come Colui che si abbassa,viene sulla terra, piccolo e povero, per dirci che se vogliamo essere simili a Lui, non dobbiamo metterci al di sopra degli altri, ma abbassarci e metterci in servizio, farci piccoli con i piccoli, e poveri con i fratelli più poveri.
Non è una buona testimonianza sapere che un cristiano non vuole
abbassarsi, che non vuole servire.
Sono persone brutte quei cristiani che si danno delle arie, si
pavoneggiano. Costoro sono pagani.
Il cristiano cerca di fare in modo che questi fratelli, piccoli e
poveri, non si trovino mai soli.

L’UOMO IMMAGINE di DIO.
Pensandoci bene, se Dio, per mezzo di Gesù, ha scelto di farsi uno di noi tanto da coinvolgersi con l’uomo, vuol dire che qualunque cosa avremo fatto ad ogni persona, noi l’avremo fatta a Lui.
Infatti nel Vangelo Gesù ce lo ricorda più volte: chi avrà nutrito,
sfamato, dato un bicchiere d’acqua, accolto, visitato l’ammalato o il carcerato, amato uno di questi piccoli tra gli uomini, chi avrà fatto questo l’avrà fatto a Gesù. Dobbiamo saper riconoscere nel volto dei fratelli il vero volto di Gesù, è vero, a volte è sfigurato, dal
peccato e dal male, ma è sempre il suo volto, accogliamolo con più amore, ha bisogno di amore.
Nei saluti alla piazza, Francesco ha invitato i presenti a lasciare un posto a tavola per i poveri, di ricordarsi nel cenone di Natale dei poveri e dei bambini orfani.
In ultimo ha invitato tutti ad accostarsi al mistero di Betlemme con i
medesimi sentimenti di fede di Maria e Giuseppe.

“Credo la vita eterna”
di fra Giovanni Balestra.

Certamente la salvezza si ottiene quando ci apriamo a Gesù, coloro che si chiudono all’amore, si condannano da soli, il giudizio è già in atto.
Dopo il saluto alla piazza gremita come al solito, Francesco oggi si
sofferma sul giudizio universale, e dice subito che non dobbiamo avere paura. Spiega infatti il Vangelo di Matteo (25,31-33.46) dove si legge che il Signore verrà nella gloria e come un pastore separerà i capri dalle pecore, e quelli andranno alla perdizione e queste, i giusti, alla vita eterna.

IL BENE.
Il bene compiuto, oppure omesso, durante la vita terrena, sarà motivo di giudizio finale, qui si manifesterà, fino alle sue ultime
conseguenze mettendoci di fronte al mistero per noi difficile da
capire e tantomeno ad immaginare. E’ mistero che spesso suscita in noi trepidazione.
E’ importante pensare spesso a questa realtà, questa può aprire il
cuore del cristiano e diventare motivo di fiducia e di consolazione.
Le prime comunità accompagnavano nelle loro celebrazioni, al riguardo dell’attesa, con l’acclamazione Maranathà, che a seconda di come venivano scandite diceva: “Vieni, Signore” o “Si, il Signore viene, il Signore è vicino”. Questa è l’esclamazione in cui culmina la rivelazione cristiana, nella contemplazione che troviamo nell’Apocalisse di Giovanni (Ap. 22,20).
Qui è la Chiesa intera che, in quanto sposa, si rivolge al suo
Signore, per sentire l’abbraccio di Gesù. Perché l’abbraccio di Gesù è pienezza di vita e di amore. Questo infatti è il suo abbraccio.
Guardando il giudizio in questa prospettiva, ogni paura viene a
mancare, e ci è permesso di attendere con serenità questo incontro e il giudizio, per essere rivestiti della gloria di Cristo, con una nuova veste nuziale per entrare al banchetto nuziale, cioè alla piena comunione con Dio.

LA PRESENZA DI GESU’.
Davanti a Dio Padre, nel momento del giudizio, Cristo sarà presente con noi, e coloro che l’avranno seguito, prenderanno posto insieme a lui (Mt.19,28).
San Paolo ci ricorda che saranno i Santi a giudicare il mondo, (1Cor.6,2-3).
Quindi insieme a Cristo, nostro Avvocato e Paraclito,  nel momento del giudizio, saranno presenti tanti nostri fratelli che ci hanno preceduto e già sono nella gloria di Dio, loro che hanno offerto la loro vita per noi e che ancora ci amano. Questi fratelli vivono al cospetto di Dio, nello splendore della sua gloria e pregano per noi che ancora siamo sulla terra.

LA CHIESA E’ MADRE.
La Chiesa è davvero come una madre e cerca il bene di tutti i suoi
figli, e questa si realizzerà nel corpo glorioso di Cristo con tutte
le sue membra.
Nel Vangelo di Giovanni troviamo che: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui….(Gv. 3,17-18).
Ora chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede si condanna da solo.
Il giudizio non si fa attendere all’ultimo giorno, ma è già in atto,
incomincia nel corso della nostra esistenza. Questo giudizio è
presente in ogni istante del nostro vivere, da come accogliamo e
viviamo la fede della salvezza già operante in Cristo, annunciata
dalla Chiesa, oppure della nostra incredulità che ci porta ad una
chiusura in noi stessi.
Chi si chiude all’amore di Cristo, si condanna da solo, perché la
salvezza comporta un aprirci a Lui, è Lui che ci salva.
Sappiamo che siamo peccatori, ma se noi andiamo a Lui, Lui ci perdona.
Aprirsi a Lui, significa pentirsi, accusarsi delle cose mal fatte che
non piacciono a Gesù.
Cristo si è donato e continua a donarsi a noi, per colmarci della
misericordia e la grazia del Padre.
Non autocondanniamoci da soli escludendoci dalla comunione con Dio e con i fratelli, non vogliamo essere giudici di noi stessi, con questo rifiutare l’amore di Gesù.
Dobbiamo proseguire il nostro cammino pensando a questo giudizio che è già iniziato, facciamo in modo che il nostro cuore sia sempre aperto per il Signore e alla sua salvezza per entrare nella gloria del cielo.


“Credo la resurrezione della carne”


Il papa ci dice che il nostro corpo è risonanza dì eternità.
E’ una verità non semplice ci dice subito Francesco, per il fatto che vivendo immersi in questo mondo, non ci è facile capire le cose delle future realtà. E’ il Vangelo che ci apre alla comprensione della risurrezione, in quanto  questa è strettamente legata a quella di Gesù. E per il fatto che lui è risorto, è prova che la resurrezione dei morti esiste.

LA RESURREZIONE DI CRISTO E LA NOSTRA:
la Scrittura ci conduce per un cammino verso la risurrezione dei
morti. Manifestando la fede in Dio creatore dell’uomo – anima e corpo – e come fede in un Dio liberatore, fedele all’alleanza con tutto il suo popolo. Ezechiele profeta, contempla come i sepolcri dei deportati vengono riaperti e quelle ossa aride riprendano vita grazie all’infusione di uno spirito vivificante.
E’ speranza in una futura “risurrezione di Israele”, la rinascita del
popolo sconfitto.(Ez.37,1-14).
Nel Vangelo Gesù si dice: “Io sono la risurrezione e la vita (Gv.11,25), perché è proprio lui che risusciterà nell’ultimo giorno coloro che avranno creduto in lui.
Lui si è fatto uno di noi in tutto, eccetto il peccato, prendendoci
con se nel cammino di ritorno al Padre. Per questo ci dona lo Spirito Santo, come dono di piena comunione nel glorioso suo regno che vigilanti attendiamo. Questa attesa diventa fonte della nostra speranza e luce per illuminare la nostra storia personale.
Noi siamo discepoli, ci ricorda Francesco, di colui che è venuto,
viene ogni giorno e verrà alla fine.
Mantenendo viva questa realtà, faciliteremo il nostro cammino senza affaticamenti, senza essere prigionieri dell’effimero e più disposti al cammino sulla via della salvezza.

LA RISURREZIONE DI TUTTI.
La nostra risurrezione avverrà nell’ultimo giorno, ad opera della
onnipotenza del Padre, che ridarrà vita al nostro corpo unendolo
all’anima, in forza della resurrezione di Gesù.
E siccome Gesù è risorto, noi risusciteremo, perché lui ci ha aperto la porta a questa risurrezione.
Questa trasfigurazione del nostro corpo viene preparate in questa vita dal nostro rapportarci con Gesù, attraverso i sacramenti. Noi che in vita ci nutriamo del suo corpo e del suo sangue, risusciteremo come lui, con lui e per mezzo di lui.
Gesù è risorto con il proprio corpo, ma ha lasciato questa vita
terrena, così anche noi risorgeremo e i nostri corpi saranno
trasfigurati in corpi gloriosi.
Noi sappiamo che è risorto e in questo momento è vivo con noi.
Ora se noi crediamo che è vivo, certamente non ci lascerà morire ma ci chiamerà alla risurrezione.
E’ la forza della sua resurrezione che risusciterà anche noi.

IN QUESTA VITA GIA PARTECIPIAMO ALLA SUA RISURREZIONE.
Non solo ci risusciterà alla fine dei tempi, ma con lui siamo già risorti.
Perché la vita eterna inizia già qui sulla terra quando noi crediamo in lui.
E tutta la nostra vita è orientata verso la risurrezione finale.
Mediante il Battesimo siamo inseriti nella morte e risurrezione di
Cristo e partecipiamo alla vita nuova, cioè alla sua.
In noi, in questo tempo abbiamo un seme di resurrezione, quale
anticipo di quella che riceveremo in eredità. Il nostro corpo è dunque risonanza di eternità e va rispettato.
Così va rispettata la vita di coloro che soffrono, perché già sentono la vicinanza del Regno, della condizione di vita eterna verso la quale tutti camminiamo. Questa è la nostra speranza, siamo già in cammino verso la risurrezione. La nostra gioia è vedere Gesù, incontrare Gesù per rimanere per sempre con lui. così saremo tutti insieme, non più in questa piazza, ma da un’altra parte e gioiosi insieme a Gesù. Questo è il nostro domani.


“non teme la morte chi pratica la misericordia”


Nell’udienza generale del 27 novembre, giornata piuttosto fredda,
erano in settanta mila i presenti in piazza san Pietro, Francesco dopo il consueto giro per la piazza per abbracciare tutti i presenti, li ha così salutati: buongiorno, complimenti perché siete coraggiosi con questo freddo in piazza.
Nel suo giro ha fatto lo scambio della sua sciarpa con un ammalato.
Prendendo la parola dice subito che vuole concludere la catechesi sul Credo di questo anno della fede e in questo e prossimo incontro vuole concludere sulla risurrezione della carne, il nostro morire e il nostro risorgere in Cristo.

IL PENSIERO DELLA MORTE.
Francesco sottolinea subito che noi abbiamo un modo sbagliato di
guardare la morte. Essa certamente riguarda tutti, ci interroga ogni volta che ci tocca da vicino, che colpisce i piccoli e gli indifesi e ci risulta “scandalosa”. La vita la vediamo chiusa tra due poli, la nascita e la morte, quando non crediamo in un orizzonte che va oltre la vita presente, quando camminiamo come se Dio non esistesse. Questo è il pensiero di coloro che non hanno fede, che pensano la vita come un trovarsi casualmente in questo mondo in cammino verso un nulla e in un cammino pratico che guarda solo i propri interessi per le cose della terra. A questo modo di pensare si ribella il cuore.
Ci sono momenti dolorosi nella nostra vita, la perdita di una persona cara, ci accorgiamo che anche in questi frangenti dal cuore sale una convinzione che non tutto è finito, che il bene fatto o ricevuto non rimane inutile. Diciamo a noi stessi che la vita non finisce con la morte.

LA RISURREZIONE DI CRISTO.
La risposta al dolore la troviamo nella risurrezione di Cristo. Questa non dà solo la certezza della vita oltre la morte, illumina lo stesso mistero della morte.
Vivendo uniti e fedeli a Cristo, noi siamo capaci di affrontare con
viva speranza e serenità anche questo passaggio con sorella morte.
Nella preghiera della Chiesa si legge: “se ci rattrista la certezza di
dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura”.
Camminare nella misericordia di Dio è preparare e accettare questo momento di distacco da ogni affetto e cosa, è un abbandonarsi confidente nelle mani accoglienti di Dio in attesa di contemplare il suo volto.
Questa è una grande cosa, - contemplare faccia a faccia il volto
meraviglioso di Dio nostro Padre.
Questo è il nostro cammino: vedere il Signore.

SIATE PRONTI.
Questo è infatti l’invito di Gesù che troviamo nel Vangelo: Siate
pronti – Estote parati -.
Dobbiamo essere vigilanti, sapendo che la vita ci è data per
prepararci alla nuova e vera vita, quella con il Padre del cielo. La
via sicura è stare sempre vicino a Gesù.
Per stare vicino a Gesù, la preghiera, i Sacramenti e le opere di
carità sono le qualità più adatte per preparare il nostro passaggio da questo all’altro mondo.
Ricordiamo le opere di misericordia corporali e spirituali, queste
quando sono praticate con cuore e fedeltà, sono rivolte personalmente al Cristo presente in coloro che assistiamo, è la sua parola. (Mt. 25,36-40). Dobbiamo saper ricuperare il senso cristiano della carità e della condivisione fraterna, curando le piaghe corporali e spirituali, che sono tante, del nostro prossimo.

LA SOLIDARIETA’.
Ogni volta che ci mostriamo solidali nel compatire, condividere il
dolore e siamo pronti a infondere speranza nel nostro prossimo in
difficoltà, noi ci prepariamo quel Regno promesso.
Pertanto dobbiamo ricordare che chi pratica la misericordia non teme la morte.
Questo concetto il papa lo fa ripetere dalla piazza, perché non sia dimenticato.
Non solo, chiede pure se sono d’accordo e ne vuole la conferma.
Perché non teme la morte coloro che usano misericordia? Essi la
guardano in faccia già presente nelle ferite di molti fratelli, e non
si spaventano, anzi la superano con l’amore di Cristo.
Ogni volta che noi apriamo la porta della nostra vita e del nostro
cuore ai fratelli, la nostra morte sarà una porta che ci porterà in
cielo, alla patria dove siamo invitati e diretti, per dimorare per
sempre nell’amore di quel Padre, con Gesù, con Maria e i santi.

 


La remissione dei peccati “il potere delle chiavi”
di fra Giovanni Balestra.

Ed eccoci a mercoledì 20 novembre all’udienza generale con papa Francesco, dopo il suo simpatico saluto per una buona giornata, riprende il tema della remissione dei peccati, non più col Battesimo ma con il potere delle chiavi, simbolo biblico della missione propria che Gesù ha dato agli Apostoli.

LO SPIRITO SANTO.
 E’ lui il vero protagonista del perdono dei peccati, lo ricordiamo
quando, Gesù, nel Cenacolo, dopo la sua risurrezione, ormai è l’uomo nuovo, trasfigurato, dona lo Spirito Santo per il perdono dei peccati. (Gv. 20,22-23). Ma offre altri doni che sono frutto della sua morte e risurrezione, la pace, la gioia, il perdono dei peccati, la missione nel mondo e lo stesso Spirito Santo che è la vera sorgente di tutto.
Quel soffio di Gesù e le sue parole comunica lo Spirito, che trasmette la vita, quella nuova rigenerata dal perdono. Prima dei doni, Gesù, manifesta le sue piaghe, quelle ferite sono il prezzo della nostra salvezza.
E’ lo Spirito che ci porge il perdono di Dio attraverso le piaghe di Gesù.
Sono piaghe che porta sempre con se, le presenta al Padre in cielo, per testimoniare il prezzo del nostro riscatto.

IL POTERE DI PERDONARE.
 Gesù dà agli Apostoli il potere di perdonare i peccati. Come può un uomo perdonare i peccati, è già un’osservazione, mossa dai farisei, che troviamo ai tempi di Gesù. Gesù ha questo potere e lo affida alla Chiesa che ne è depositaria, per aprire o chiudere al perdono.
Dio perdona nella sua misericordia, ma ha voluto che coloro che
appartengono a Cristo e alla sua Chiesa, lo ricevano mediante i
ministri della Comunità.
Così la misericordia di Dio mi raggiunge attraverso i ministri, le
colpe vengono perdonate e mi viene restituita la gioia e la grazia.
La Chiesa ci accompagna per tutta la vita in un cammino di
conversione, essa è serva del ministero della misericordia ed è
gioiosa quando può offrire questo grande dono.

DIO PERDONA IL PECCATORE PENTITO.
Dio perdona sempre ogni peccatore pentito, sappiamo che ogni cristiano è legato a Cristo e quindi, come Cristo è legato alla Chiesa, a noi è chiesto di passare attraverso il ministero della Chiesa. il perdono oltre che essere un dono, è una cura, sicurezza e protezione, ora so che Dio mi ha perdonato. La Confessione: ognuno si accusa del male fatto e il ministro risponde: Ma io ti assolvo. Dio ti perdona.
Dio non si stanca di perdonare, così anche noi non dobbiamo stancarci di chiedere il perdono.



IL SACERDOTE STRUMENTO PER IL PERDONO.
Il perdono ci viene dato attraverso il ministero di un nostro
fratello, anche lui bisognoso di misericordia, così diventa strumento di misericordia. Il confessore ascolta i peccati, offre un consiglio e perdona. Non possiamo confessarci direttamente con Dio… si lui ascolta, ma solo attraverso la Confessione ci manda un fratello a offrirci il perdono, la sicurezza a nome della Chiesa di cui noi siamo parte.
Per compiere questo servizio il cuore del sacerdote deve essere in pace, è un compito molto delicato e se il cuore è turbato, la mitezza, la benevolenza e la misericordia ne soffrono.
Il sacerdote deve essere cosciente che coloro che si accostano alla Penitenza, cercano il perdono, e questo è un ripetersi come già lo facevano coloro che si accostavano a Gesù per essere guariti dal male e dal peccato.
Ogni sacerdote che non ha queste disposizioni, suggerisce il papa, si astenga da questo servizio, perché ogni fedele ha il diritto di trovare dei servitori del perdono di Dio.

LA GRANDEZZA DEL DONO.
Grande è questo dono, conclude papa Francesco, ne dobbiamo essere consapevoli e approfittarne della cura materna che la Chiesa ha nei nostri riguardi. Insiste Francesco ne dirci che Dio non si stanca di perdonarci, per ricorrere al sacramento con semplicità e assiduità.
Dio, ogni volta che ricorriamo a Lui, ci stringe in un abbraccio e ci rigenera, permettendo di rialzarci per riprendere il cammino.
Così infatti è il nostro vivere: rialzarci e riprendere il cammino.

Rileggendo la catechesi di papa Francesco.

“La Chiesa è Tempio dello Spirito Santo” – “Tutti siamo uguali agli occhi di Dio”.

E’ sempre festa incontrare il papa nelle udienze del mercoledì ed è occasione per capire sempre qualcosa di più sulla nostra vita e sul nostro essere Chiesa.
Oggi dopo il consueto saluto, dove la risposta è data da un lunghissimo applauso, il papa parlando ancora della Chiesa, ci dice che è Tempio dello Spirito Santo e che noi davanti a Dio siamo tutti uguali, figli amati allo stesso modo dal Padre.

Il Tempio.

La parola Tempio ci induce a pensare ad un edificio, a una costruzione ad opera dell’uomo, ci riporta alla storia del popolo d’Israele e al grande Tempio di Gerusalemme, costruito da Salomone, dove il popolo si
ritrovava per l’incontro con Dio nella preghiera e per offrire sacrifici, qui all’interno era custodita l’Arca dell’Alleanza, con le tavole della legge, segno della presenza di Dio, quel Dio che presente nella storia aveva accompagnato il cammino del popolo dell’alleanza.
Tutto questo avviene ancora oggi per noi ogni volta che saliamo al Tempio, qui ricordiamo la nostra storia, come Gesù ci ha incontrato, come Lui ha camminato con noi, come mi ama.

La presenza dello Spirito Santo.

Quello che era prefigurato nel Tempio, ora è realizzato dalla potenza dello Spirito Santo, nella sua Chiesa, la “casa di Dio”, luogo della sua presenza, dove noi possiamo incontrare il Signore.
La Chiesa è il Tempio (Popolo di Dio) dove dimora lo Spirito Santo che la anima, la guida e la sorregge. E’ nella Chiesa (in questo popolo) che noi possiamo entrare in unione con Lui attraverso Cristo, e trovare quella luce che illumini la nostra vita.
Nel popolo di Dio incontriamo Gesù, lo Spirito Santo e il Padre.
Quel Tempio di Gerusalemme era costruito dalle mani degli uomini per dare una casa a Dio, per averlo amico e in mezzo al suo popolo, ma con l’Incarnazione del Figlio di Dio, si realizza la profezia di Natan a Davide (2Sam. 7,1-29) dove dice che ora è Dio che “costruisce la sua
casa” per abitare in mezzo a noi.
Anche san Giovanni, nel suo Vangelo (1,14) scrive che Cristo è il Tempio vivente del Padre, ed è Lui che edifica la sua “casa spirituale” la Chiesa, non più con pietre materiali, ma con “pietre viventi” e queste siamo noi.
Ugualmente Paolo ci ricorda che noi siamo “edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietre d’angolo lo stesso Cristo Gesù. …per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito Santo” (Ef. 2, 20-22).
Questo Tempio siamo dunque noi uniti intimamente a Cristo, Lui è la pietra angolare di sostegno.
Siamo la Chiesa vivente, quando siamo insieme tra di noi c’è lo Spirito Santo che ci aiuta a crescere, perché non più isolati, ma siamo popolo di Dio.

I doni della varietà.

Lo Spirito Santo, con i suoi doni, disegna la varietà quale ricchezza della Chiesa, unendo tutto a tutti, per costruire un tempio spirituale, dove offriamo non più sacrifici, ma noi stessi. (1Pt. 2,4-5).
La Chiesa, quale tempio dello Spirito non è un intreccio di cose o di interessi, ma è luogo dove Dio opera in ciascuno di noi, attraverso il dono del Battesimo, come pietre vive.
Tutti siamo utili alla Chiesa, e nessuno può allontanare il fratello dicendo di andarsene perché inutile, tutti siamo necessari per costruire questo Tempio.
Agli occhi di Dio siamo tutti uguali, nessuno è più importante, ognuno svolge la propria missione con doni nuovi e che gli sono propri, ma tutti siamo uguali, tutti fratelli.
E nessuno è anonimo, perché tutti insieme costruiamo la Chiesa. Se manca la partecipazione della nostra vita cristiana, mancherà qualcosa della bellezza della Chiesa.
Tutti siamo invitati a portare qualcosa di nostro alla Chiesa, non possiamo escluderci.

La nostra vita.

Alla Chiesa dobbiamo saper offrire la nostra vita, il nostro cuore, il nostro amore, il nostro pensiero e il nostro lavoro.
Questo modo di partecipare alla vita della Chiesa, allontanerà da noi la noia e l’indifferenza e non ci sentiremo pietre stanche, ma pietre vive ed entusiaste che sanno e vogliono operare.
Un cristiano non può essere stanco, annoiato e indifferente, fa una gran brutta figura.
Il cristiano deve saper essere vivo, gioioso di portare questo nome e, contento di essere parte del popolo di Dio che è la Chiesa.
Non possiamo trovare scuse per allontanarci dal partecipare alla vita della Chiesa, perché lo Spirito ci dona la sua grazia e la sua forza per rimanere uniti a Cristo, che è la pietra angolare, il vero pilastro che sostiene la nostra vita e la vita di tutta la Chiesa.
La nostra preghiera sappia chiedere al Signore Gesù di poter essere sempre pietre vive.

Rileggendo la catechesi di papa Francesco.

“L’unità della Chiesa”


Dopo il consueto saluto ai presenti convenuti per la catechesi settimanale, il papa inizia la sua lezione richiamandosi al Conc. Vat. II, la dove viene detto che “la Chiesa è Corpo di Cristo” (L.G.7.

Per commentare questa verità, il papa si richiama al libro degli Atti (9,4-5), dove troviamo la conversione di Paolo che da persecutore diventa apostolo dei pagani, conversione sulla via di Damasco, quando una luce lo avvolge e lo costringe a terra e, una voce lo chiama: “Paolo, Paolo, perché mi perseguiti?”. Da terra, anche cieco, domanda: “Chi sei Signore?” e, la voce risponde: “Io sono Gesù che tu perseguiti”.questo momento vissuto da Paolo, ci fa capire, dice il papa, quanto sia grande l’unione tra noi cristiani e Cristo stesso.
Nel suo salire al cielo, Gesù, non ci ha lasciati orfani, perché con il dono inviato dal Padre, dello Spirito Santo, la nostra unione con Lui è diventata ancora più forte.
Sempre dal Concilio ci viene ricordato che Gesù, donando il suo Spirito, costituisce i suoi fratelli come suo corpo, sebbene provenienti da razze e popoli diversi. (L. G. 7).

La Chiesa Corpo del Cristo.


Questa immagine del corpo ci permette di capire il legame Chiesa – Cristo, di cui Paolo parla nella sua (1Cor. 12). Il copro è di per se una realtà viva.
La Chiesa quindi non è un’associazione assistenziale, politica o culturale, ma è un corpo vivente, che camminando agisce nella storia.
Ogni corpo vivente di per se ha un capo, e nel nostro caso è Cristo, che guida questo corpo e lo nutre con il pane di vita e lo sorregge.
Ogni volta che noi separiamo il capo dal corpo, la persona non può più
sopravvivere.
Così avviene nella Chiesa: ecco perché siamo chiamati a rimanere in Cristo.
In ogni corpo passa la linfa vitale che sostiene la vita, così noi dobbiamo lasciare spazio a Cristo in modo che la sua parola ci guidi e che la presenza dell’Eucarestia, ci nutra, ci animi e, che il suo amore diventi in noi la forza per amare ogni uomo.
Il rimanere in Cristo è porre in Lui la nostra fiducia.
E’ di grande importanza rimanere uniti a Cristo, fidarsi di Lui, orientando la nostra vita secondo la parola del Vangelo, alimentandoci con la preghiera quotidiana, e la viva partecipazione ai sacramenti.

Membra differenti formano l’unico corpo.


Paolo afferma che le membra del corpo umano sono differenti e numerose, ma queste formano, tutte insieme, un unico corpo, così anche noi, battezzati mediante l’unico Spirito, siamo ora diventati parte di un solo corpo (1Cor. 12,12-13).
Solo in questo modo riusciamo a capire come nella Chiesa c’è una varietà di elementi, una diversità di compiti, non c’è una uniformità piatta, perché c’è la ricchezza dei doni dati in maniera diversa dallo stesso Spirito, per il bene comune.
Tra queste ricchezze di doni e di diversità c’è la comunione e l’unità: tutti siamo chiamati ad entrare in relazione gli uni con gli altri per concorrere a formare un unico vitale corpo, unito a Cristo.
Dobbiamo ricordare che per essere parte viva della chiesa vuol dire essere uniti a Cristo per ricevere da Lui la vita divina che ci permette di vivere da cristiani, uniti al Vescovo di Roma, il Pontefice, e a tutti gli altri Vescovi , che sono strumenti di unità e comunione, per superare personalismi e divisioni, per accettarci maggiormente, nel rendere sempre più condivisibile le varietà e le altre ricchezze di ciascuno; nel voler sempre più bene a Dio e a tutti
coloro che vivono con noi, in famiglia e in ogni altra dimensione.

Il Corpo e le Membra per vivere devono rimanere uniti.

L’unità è sempre superiore ai conflitti, questi se non vengono eliminati, ci separano tra di noi, ma anche ci allontanano da Dio.
Evitiamo dunque la strada delle divisioni, rimaniamo uniti con le nostre differenze.
L’unità è una grazia da chiedere continuamente, perché ci liberi dalla
tentazione della divisione, delle lotte e da ogni altro egoismo.
Evitiamo sempre le chiacchere inutili, fanno molto male alla Chiesa, provocano divisioni, evitiamo sempre di essere persone di parte e gli interessi meschini.

Le divisioni.

Le divisioni tra noi, tra le comunità: cristiani evangelici, cristiani ortodossi, cristiani cattolici, perché queste divisioni? Siamo chiamati ad operare per l’unità.
Per creare unità è necessario pregare con tutti, e qui il papa racconta la sua preghiera fatta con un pastore di altra comunità, perché il Signore ci doni l’unità.
Per avere unità tra i cristiani è necessario possederla già tra noi, cattolici.
Averla in famiglia, quante lottano e si dividono.
E’ la vera unità che fa la Chiesa, e questa va chiesta a Cristo, perché viene da Lui, perché è Lui che ci invia il suo santo Spirito.
Chiediamo a Dio che ci aiuti ad essere membra vive del Corpo della Chiesa per essere uniti a Cristo, per non far soffrire il corpo della Chiesa attraverso conflitti, le divisioni e gli egoismi.
Cerchiamo noi tutti di essere membra vive legate le une alle altre da un’unica forza, quella dell’amore che è dono dello Spirito Santo che viene versato in abbondanza nei nostri cuori.

Rileggendo la catechesi di papa Francesco.
“ Coltivare e custodire la terra “.


Nella Giornata Mondiale dell’Ambiente, promossa dalle Nazioni Unite, il papa ci richiama alla necessità di eliminare gli sprechi, perché il cibo sprecato è cibo rubato ai poveri.

NELLA BIBBIA.

Nel libro della Genesi (2,15) si legge che dio ha posto l’uomo e la donna nel giardino perché lo coltivassero e lo custodissero. Cosa vorrà dire coltivare e custodire nel pensiero di Dio?
Non è lo sfruttamento che da tempo sta operando l’uomo in questi tempi.
Custodire e coltivare è l’opera dell’agricoltore che ha cura della terra perché dia frutto buono e questo frutto possa essere condiviso.
Per realizzare questo occorre molta passione e dedizione.
Questo comando di Dio non è racchiuso solo per l’inizio della creazione, ma è valido ancora oggi per noi tutti, in modo che facendo crescere le attività del mondo con grande responsabilità, diventi un giardino abitabile per tutti.
Anche Benedetto XVI più volte ha fatto sentire la sua voce al riguardo, ricordandoci il compito che Dio ci ha affidato. Ma l’uomo da sempre usa un’altra logica guidata dall’egoismo, dal dominare, del possedere e dello sfruttare, quindi non custodisce e non rispetta, tanto meno considera la terra, come un dono di cui deve prendersene cura.
Perdendo l’abitudine allo stupore e all’ascolto della creazione, non riusciamo più a leggere “il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo”, come ricordava Benedetto XVI.

COLTIVARE e CUSTODIRE.

Questo comando di Dio non è solo in rapporto tra noi e l’ambiente o il creato, ma è vincolato anche ai rapporti umani. Più volte i Papi hanno accennato all’ecologia umana, che sappiamo legata all’ecologia ambientale. Questo tempo che viviamo in un momento di profonda crisi, non solo lo vediamo nell’ambiente, ma in modo particolare lo vediamo nell’uomo.
E’ in pericolo la persona umana, il problema è grave e profondo, non è superficiale, si tratta di etica e di antropologia, perché ciò che domina oggi è la dinamica dell’economia e di una finanza carenti di etica, ciò vuol dire che è il denaro a comandare e non più l’uomo.
Dio aveva affidato all’uomo il compito di custodire la terra e non il denaro, così oggi uomini e donne sono sacrificati agli idoli del consumo, questa ora è la cultura dello scarto.

I MODI di PENSARE e di AGIRE.

Quando si rompe un compiuter si grida alla tragedia, ma nessuno tiene conto della povertà, dei bisogni dell’uomo, tanto che molti drammi di persone, oggi, finiscono per entrare nella normalità.
Non fa più notizia se un uomo muore per strada per il freddo, perché senza casa o se nel mondo milioni di piccoli muoiono di fame.
Certamente non può continuare questo andazzo, non possiamo chiamare tragedia se un abbassamento di punti si verifica nelle borse delle città, è vera tragedia quando l’uomo viene scartato e considerato un rifiuto.
E’ pericolosa questa “cultura dello scarto”, perché diventa mentalità che contagia molti.
La vita umana non è più considerata un valore da rispettare e tutelare, e ancora di più se povera o malata o se non serve come il nascituro e l’anziano.
Questo modo di pensare e agire rende insensibili anche agli sprechi alimentari, quando sappiamo che nel mondo molte famiglie soffrono malnutrizione e fame.

L’ESEMPIO dei NONNI.

I nostri nonni erano molto prudenti e attenti e non gettavano via nulla di ciò che avanzava, mentre oggi il consumismo ci conduce allo spreco quotidiano di cibo.
In molte famiglie si teneva sempre libero un posto a tavola per i bisognosi, ora vogliamo ricordarci che il cibo gettato via è cibo rubato alla mensa del povero.
Guardiamoci bene dallo sciupare ciò che non ci appartiene, impariamo piuttosto ad essere veicolo di solidarietà e di condivisione con i bisognosi.
Nel Vangelo, Gesù offre cinque pani e due pesci a molte persone che lo seguivano, l’evangelista che lo riporta dice “Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi avanzati: dodici ceste”. (Lc. 9,17). Gesù chiede ai discepoli che nulla vada perduto: niente scarti!
Le dodici ceste simboleggiano le dodici tribù d’Israele, quindi tutto il popolo.
Quando il cibo viene condiviso in modo equo, nessuno è privo del necessario, così ogni comunità può aiutare chi è più povero.
L’ecologia umana e quella ambientale camminano insieme.
Custodiamo e rispettiamo il creato, cerchiamo di essere attenti ad ogni persona, evitiamo ogni spreco per promuovere una cultura di solidarietà e di vita.

DAVANTI A TE, SIGNORE
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